QUARTA PUNTATA DEL JOKER PIÙ LUNGO MAI SCRITTO: UN PO’ MALINCONICO E UN PO’ A LUCI ROSSE (OVVEROSIA L’IMPORTANZA DI CHIAMARSI PUSSY GALORE)
Se non le avete lette, siete ancora in tempo per recuperare le puntate precedenti.
Alfredo Giurlani scrive: «La leggo sempre con molto piacere. Gradirei sapere la sua opinione su Nicola Lagioia».
La Joya nella mia vita è uno e uno solo: Paulo Dybala. Non dirò che tutto il resto è noia, come diceva il maestro Califano, ma ci siamo capiti.
Pubblicità per Robecchi (e un pochino per me stesso)
Paolo Pedretti: «Lei è sempre prezioso. Ho trovato molto piacevole e purtroppo finito Pesci piccoli di Alessandro Robecchi. Non ci vuole dire nulla?».
Non è male per niente Pesci piccoli (Sellerio).
Ci sono questo santone e questa ex pornostar che hanno messo su un business sul prodigio di un crocifisso che non piange come fanno le madonnine, non sanguina come fanno gli altri crocifissi, ma miracolosamente si accende (mi illumino d’incenso).
E il discorso di Don Vincenzo, il santone, a Monterossi, che lo incalza sul fatto che sta imbrogliando ingenui fedeli, ha un suo perché: «Ci pensi, non facciamo lo stesso lavoro? Cosa fate voi con quel programma, con la televisione in generale? Distraete la gente dalla sua vita che di solito è bella grama… Le persone che vengono qui vogliono crederci a tutti i costi, arrivano con le loro speranze, con i loro guai, e vanno via un po’ più contente. Le speranze… i guai… restano, certo, non mi sentirà mai dire che qui qualcuno è guarito o che c’è stato un miracolo. Ma in qualche modo un miracolo avviene, signor Monterossi… Pensa ai soldi, vero? La metta in questo modo: da uno psicologo spenderebbero lo stesso, forse di più».
Poi, nel romanzo Pesci piccoli, c’è una donna delle pulizie che trova un tesoro, un tesoro scottante, e finisce in una specie di spy story: «Per un istante, uno solo, Teresa ha visto la scena da fuori. Era questa la banda che voleva ricattare la grande azienda che fa le dighe nel mondo? Una sarta in pensione, una donna delle pulizie, una guardia giurata che fa il turno di notte e un nero che consegna pizze. Non sapeva se ridere o piangere».
Seguendo il format immortale di Cenerentola e Pretty Woman, Monterossi si innamora della donna delle pulizie. Si innamora come si innamorano gli adolescenti: «e intanto ha pensato che aveva addosso una strana sensazione, come un blues».
Il manuale d’amore di Monterossi l’ha scritto Bob Dylan. Si comincia con la dichiarazione di intenti: «No, e non intendo litigare con te, / spaventarti o deprimerti / abbassarti e umiliarti, / metterti in catene o demoralizzarti. / L’unica cosa che voglio / è fare amicizia con te, baby». Una dichiarazione che non va detta una volta sola, ma ribadita affinché non rimangano dubbi: «Non voglio fare il sostenuto. / Correrti dietro, darti la caccia, seguirti o pedinarti / svergognarti o sloggiarti/ definirti o confinarti. / L’unica cosa che voglio / è fare amicizia con te, baby».
Nel manuale d’amore di Dylan, secondo Monterossi, c’è poi la scena di sesso: «Lasciati andare, signora, lasciati andare sul mio grande letto d’ne».
Non c’e niente, ma il letto d’ottone di Dylan mi ha fatto venire in mente una battuta di Enrico Filippini, il grande e coltissimo giornalista della Repubblica degli anni d’oro (ma era qualcosa di più di un giornalista). Filippini fu un eccezionale tombeur de femmes e diceva spesso che il letto di casa sua, dove aveva consumato centinaia di imprese amorose, lo avrebbe lasciato alla sua morte al Museo della Scienza e della Tecnica affinché ne facessero materia di studio e lo esponessero ai visitatori.
Robecchi è uno scrittore spiritoso (non ce ne sono quasi più, ormai sono tutte prefiche). Nella sua ultima avventura Monterossi si imbatte in personaggi che hanno la faccia di uno a cui le preoccupazioni della vita hanno fatto saltare la partita di padel, in negozi di parrucchiera che si chiamano “Emozione donna”. Si aggira tra le tangenziali, i canali di irrigazione, le zanzare, i centri commerciali e gli autovelox che costituiscono il paesaggio della Lombardia padana. E, in generale, si muove in un pianeta che ormai sembra un negozio Ikea.
E mentre Monterossi vagabondava nel libro, io tornavo, leggendolo, alla questione Fabrizio Bentivoglio, che interpreta in tv l’eroe di Robecchi. Maigret avrà per sempre la faccia di Cervi, Nero Wolfe quella di Buazzelli, Marlowe quella di Mitchum, Sam Spade quella di Bogart, Nick e Nora quelle di William Powell e Myrna Loy, Montalbano quella di Zingaretti, Perry Mason quella di Raymond Burr, Sheridan quella di Ubaldo Lay, il commissario Santamaria quella di Marcello Mastroianni Truman Capote & Harper Lee (i due più grandi detective della storia) quelle di Truman Capote & Harper Lee… E non segue dibattito. Ma Carlo Monterossi ha davvero la faccia di Bentivoglio? Per me Monterossi ha più glamour. Me lo sono sempre immaginato più un tipo alla Kim Rossi Stuart. (Ma qui ci vorrebbe, a fare chiarezza, un intervento dell’infallibile direttore casting del Joker Club Italo Beccaria).
I più grandi detective della storia
Mentre leggevo Pesci piccoli, ho mandato qualche whatsapp a Monterossi.
Primo whatsapp
La vedo pieno di dubbi, caro Monterossi, e non mi pare soltanto per questioni di cuore. Mi sembra renitente nei confronti del suo autore (succedeva anche a Montalbano con Camilleri e forse, prima ancora, a Sherlock Holmes con Conan Doyle). Come se fosse stanco di fare l’investigatore (per caso).
Secondo whatsapp
Stavolta il dubbio è venuto a me. E se fosse il contrario? Se fosse Robecchi a essere renitente nei suoi confronti?
Terzo whatsapp
Mi leva una curiosità, Monterossi? Ma perché con tutti i soldi che guadagna (senza fare praticamente nulla, beato lei), invece di infilarsi in un parcheggio a pagamento, gira per ore intorno a Piazza Diaz (mi pare) per posteggiare la macchina.
Quarto whatsapp (a me stesso, stavolta)
Ma Robecchi ha chiamato Carella uno dei suoi poliziotti in onore del Carella dell’87º Distretto del grande Ed McBain?
Quinto whatsapp (a tutti i lettori)
Spero che abbiate letto tutte, ma proprio tutte, le storie dell’87° Distretto. Se non lo avete ancora fatto, fatelo subito. McBain è un cugino americano non lontanissimo di James Joyce e, secondo me, ha scritto le storie dell’87° Distretto pensando ai Dubliners di Joyce. Ha scritto i Dubliners dei newyorchesi.
Sesto whatsapp (ad Alessandro Piperno, responsabile Meridiani Mondadori)
Caro Alessandro, ho pensato che sarebbe bello un Meridiano con tutte le vecchie storie di le Carrè protagonista George Smiley (già solo i titoli: Chiamata per il morto, Un delitto di classe, La talpa, L’onorevole scolaro…). Le storie di Smiley sono il poema cavalleresco (Oh gran bontà delle spie antiche) del Novecento, un mix tra l’Orlando furioso e l’Orlando innamorato. Sarebbe bello anche un Meridiano di Sartre. E sarebbe bello anche (ma so che mi sto spingendo troppo in là) un Meridiano con le storie dell’87° Distretto di Ed McBain.
Settimo whatsapp (un memo per me stesso)
Trovo una forte somiglianza tra Arthur Conan Doyle e Giuliano Ferrara.
Ottavo whatsapp (a Robecchi e all’editore Sellerio)
Pesci piccoli prende il titolo dalle indagini su reati minimi, sulla criminalità spicciola milanese, condotte da Ghezzi e Carella nel romanzo. E se questa attività investigativa, assegnata loro come corvée, non rimanesse una tantum? Se ispirasse uno spin-off con protagonisti Ghezzi e Carella, una microstoria della Milano contemporanea?
Fine dei whatsapp che mi hanno fatto ricordare le deliranti, bellissime lettere che Moses Herzog, l’eroe di Saul Bellow nel romanzo Herzog (voto ******, se il massimo è *****, e voto ***********, se il massimo è **********), scriveva a filosofi, scrittori, personaggi storici, vivi e morti.
L’angolino della critica
Cosa non mi piace nelle storie (che mi piacciono molto) di Robecchi? Un certo retrogusto di (ex ed extra) sinistra milanese, quella che Gaber prese in giro (a quanto pare vanamente), quella che fece la guerra a Craxi. Quella col basso continuo di ironia, satira, sarcasmo. È come se Robecchi scrivesse sotto l’occhio severo di un commissario politico (lui stesso?) che lo richiama costantemente all’ordine. Sarcasmo che è una specie di corner dove rifugiarsi per salvarsi l’anima (l’anima che sarebbe stata corrotta dal successo, dal denaro guadagnato scrivendo romanzi, scrivendo programmi televisivi). Questa è l’ipoteca che pesa sui suoi romanzi. Ed è un peccato, perché Robecchi sa scrivere, come nessun altro attualmente, di Milano così com’è, sa raccontare la (piccola) metropoli milanese.
La conclusione di Pesci piccoli è bella e malinconica. Siccome è inevitabile che per ogni amore che comincia ce n’è uno che finisce, Monterossi è travolto da quello che gli sta succedendo. Le ultime parole del libro fotografano il suo stato d’animo: «Si è sentito solo, con un dolore che va su e giù come un cavatappi nel cuore». È la versione robecchiana, intinta nel Manuale Dylan dell’amore (e, in generale, della vita), del triste, solitario y final di Soriano. Perché saranno anche passati 71 anni ma ancora nessuno ha saputo chiudere un romanzo meglio di come fece Raymond Chandler in The Long Goodbye: «Vi dissi addio quando ero triste, in un momento di solitudine e quando sembrava definitivo».
Pubblicità per Manzini (e Vargas Llosa)
Aldo (Forum Substack) scrive: «Di Manzini sto leggendo in questi giorni Elp; trovo che stia scrivendo – al di là della trama comunque godibile – sempre più sovente dell’Uomo, dell’essenza della vita. È quello che fanno i grandissimi: senza scomodare Dante, ad esempio il nostro carissimo Don Mario (a tal proposito ho molto amato L’eroe discreto). Quindi non mancherò questo Giallo Mondadori».
Pubblicità per Manzini
Agostino Masi: «Martedì prossimo devo andare a Milano per lavoro. Come Bufalino, ho trovato il giallo perfetto per il viaggio in treno: Tutti i particolari in cronaca».
Pubblicità per i Gialli Mondadori
Gigliola Beniamino: «La mia unica giovinezza è stata il Giallo Mondadori. Baci x tutti».
(Complimenti, Gigliola, lei doveva fare la copy, la sua frase è bellissima).
Sportello Ufficio Reclami
Paolo Pedretti: «Però ci manca la pagella dell’ultimo Sellerio di Manzini».
Abbia pazienza, ho solo due occhi, E per FATTO PERSONALE aggiungo che una volta i miei occhi erano verdi, come quelli di mamma, e ora, a causa della quantità di colliri medicinali presi, sono diventati blu, e che ancora fanno egregiamente il loro lavoro grazie al professor Luciano Quaranta di Brescia, mirabile oculista (Simenon aveva un sacro rispetto per gli oculisti).
P.S. Quando ero piccolo c’era, firmata dal grande Armando Testa, la pubblicità di un collirio che diceva “Stilla, gocce azzurre per gli occhi”, e lo scrittore Giuseppe Berto ripeteva questo slogan ogni volta che vedeva Laura Ballio, che era un’amica di sua figlia e che poi è stata collega e amica mia (e ha occhi azzurrissimi).
Poteva mancare Ennio Flaiano, uno dei numi tutelari (eminenza grigia, deus ex machina) di questa rubrica? Ecco una sua partecipazione straordinaria, in una bella pagina alla ricerca del tempo perduto di Piera Treu.
Scrive Piera: «Ennio Flaiano era tra gli ospiti della Fiaschetteria Beltramme, dove solo i clienti abituali avevano diritto al tovagliolo. Di passaggio a Roma avevo trovato una novità: un tavolo quadrato “per single”, dove chiesi al mio vicino se fosse appunto uno di quei clienti con diritto al tovagliolo. Risposta guardinga: non io, ma mio padre lo era. Venga con me, le farò vedere le piante di cappero sopra Trinità dei Monti».
Piera continui per favore, ha interrotto questa storia avvincente sul più bello. I capperi sopra Trinità dei Monti erano una specie di collezione di farfalle de noantri oppure quell’avventore era stato preso da un afflato poetico-paesaggistico?
Che nostalgie fa venire Roma, come nessun altro posto al mondo o forse, almeno per me, certi angoli di Firenze, alcuni dal nome dantesco, altri dagli echi rosaiani (nel senso di Ottone) o montaliani: l’Erta Canina, via San Leonardo, l’Indiano alle Cascine, Bibe a Ponte all’Asse….
Dopo la lettura del Joker su Manzini, Tutti i particolari in cronaca, Francesca Ceriani è quasi venuta meno a un patto solenne fatto con sé stessa: «Se dopo Montalbano non avessi giurato di non leggere più commissari seriali e altri libri dei rispettivi autori, mi precipiterei a leggere questo giallo (che tra l’altro credo sia già in casa, o sia lì lì per arrivare, per colpa del familiare che non desiste dalla lettura di commissari seriali e di altri libri dei rispettivi autori)».
Le consiglio di spergiurare.
Poteva mancare nel Joker più lungo del mondo lo scrittore protagonista del feuilleton a puntate che sto pubblicando su Finzioni? Scrive Anastasia Macrì: «Ieri sera su Cine34 ho rivisto, per la centesima volta: C’eravamo tanto amati. E ho pensato a Italo Calvino e il suo segreto, a cui lei accenna nella terza puntata di La notte che incontrai Italo Calvino in camera di rianimazione. La storia di Italo e Elsa nel suo romanzetto mi sembra la storia dell’amore tra Vittorio Gassman e Stefania Sandrelli nel film. Aspetto con ansia la quarta puntata.
P.S. Non sono capitata a Roma in questo periodo e riuscire a trovare Finzioni a Frosinone è stata un’impresa... romantica».
Non dimentichi mai, gentile Anastasia, quello che diceva Flaiano: “C’è gente che vive e lavora a Frosinone (l’essenza di Cechov)”.
Pubblicità per me stesso
Per chi non lo sapesse sul mensile Finzioni sta uscendo a puntate il mio romanzetto in forma di feuilleton (o feuilleton in forma di romanzetto?) dal titolo La notte che incontrai Italo Calvino in camera di rianimazione.
Scrive Serafino Lio: «Sabato scorso sono stato alla mostra dedicata a Italo Calvino, alle Scuderie del Quirinale. Ricordando il suo feuilleton, ho cercato sui vari pannelli di trovare scritto qualcosa che me lo ricordasse. E ho trovato nella biografia la menzione della morte di Calvino a Siena. Aspetto le prossime puntate perché dell’evento non era scritto altro. Sono stato tentato dal chiedere a qualcuno se fossero lettori di Finzioni ma sono stato timido e non l’ho fatto».
Erano tutti lettori di Finzioni, si fidi.
Ancora sul feuilleton. Scrive Alessandro (Forum Substack): «Ma il capocronista del giovane giornalista di La notte che incontrai Italo Calvino in camera di rianimazione era per caso Sergio Saviane?»
.No, non era lui (però sarebbe stata una ottima idea prenderlo a modello). Saviane è stato uno dei pochi veri prodigi linguistici del giornalismo nazionale. Un giorno scriverò un Joker usando le sue straordinarie invenzioni lessicali e poi probabilmente questo spazio verrà chiuso (un’altra volta?) per eccesso di impertinenza e di scorrettezza politica, sessuale ecc. Di Saviane fui amico per un periodo, purtroppo assai breve; amicizia interrotta non perché litigammo (era un uomo dolce e malinconico malgrado la sua verve corrosiva, e portava i pantaloni bianchi o color panna con una nonchalance mai raggiunta da altri, nemmeno da Jay Gatsby). L’amicizia fu interrotta dal fatto che Sergio morì lassù nel suo Veneto. Negli stessi posti dove era andato a morire (come un elefante nel suo cimitero) il suo amico Goffredo Parise, il grande scrittore dei Sillabari, il libro che andrebbe adottato da tutte le scuole italiane di ogni ordine e grado perché, dopo averlo letto, resta quasi più niente altro da sapere nella vita.
Per soddisfare la sua curiosità, caro lettore, le confesserò che il capocronista del romanzetto è ispirato a Gabriele Capelli che fu il primo a mettermi la penna in mano (come si diceva nel Novecento).
Molti hanno scritto sui pezzi del Festival fai da te. A proposito della kermesse canora nazionale (espressione che a Gabriele Capelli avrebbe fatto venire uno stranguglione), Giuseppe Carreca interviene sulla questione di chi merita la pena infernale più grave: l’inventore degli infissi in alluminio anodizzato, come sostiene Woody Allen in Harry a pezzi? Oppure, come sostengo io, l’inventore della tuta in acetato, citata da Mahmoud nella sua canzone sanremese? Giuseppe Carreca vota per Woody Allen: «Pena più grave all’inventore dell’alluminio anodizzato. Ma per la tuta in acetato è podio sicuro!».
Visto che ci siamo, non è una brutta idea ripassare i dannati dell’Inferno secondo Woody Allen (la colonna sonora scelta dal regista nel suo viaggio datesco, ma in ascensore, era Sing, Sing, Sing di Benny Goodman ed era perfetta, ma quale sarà stata la colonna sonora della Divina Commedia?).
«Quinto piano: borseggiatori della metropolitana, mendicanti aggressivi, critici letterari.
Sesto piano: estremisti di destra, serial killer, avvocati che vanno in tv.
Settimo piano: i media. Spiacente il piano è al completo.
Ottavo piano: criminali di guerra evasi, predicatori televisivi e sostenitori di armi da fuoco».
Infine, all’ultimo piano, lui, l’esecrabile inventore degli infissi in alluminio anodizzato.
Pubblicità per me stesso e per Matteo del Forum Substack
Su Sanremo scrive Matteo (Forum Substack): «Comprendere e condividere quasi tutte le sue citazioni mi fa sentire fiero di me, ma non meno sbalordito. Mi consideri iscritto alla sua mailing list».
Oliviero Pesce scrive: «Bello il refuso “stonare Battisti”. Cambio di vocale con consonante».
Caro Oliviero, non è un refuso, la canzone Disco Paradise dice proprio così e allude ai coretti stonati durante le gite (Dieci ragazze per me e dintorni, Nanni Moretti docet).
Stefano Galli si chiede perplesso: «Sex Pistola?». E Fabio Ruggeri esclama: «Certo che se Sex Pistola non è un refuso è degna della magia di uno Schiaffino!»
Non è un refuso, è voluto e si riferisce allo sparo nella notte al veglione di Capodanno con i politici Delmastro e Pozzuolo. (Forse scambiarlo per un refuso è un segno dei tempi, un pessimo segno di tempi che hanno perso ogni brillantezza). Cos’era la magia di Juan Alberto Schiaffino l’ha spiegato bene Eduardo Galeano (il Lévi-Strauss del calcio sudamericano?): «Schiaffino, con sus jugadas magistrales, armaba el juego de su equipo como si estuviera allá en la torre más alta del estadio, observando toda la cancha (Schiaffino, con le sue giocate magistrali, organizzava il gioco della squadra come se stesse osservando tutto il campo dalla più alta torre dello stadio).
Era la famosa «genialità di uno Schiaffino» cantata da Paolo Conte. Un altro che organizza il gioco della squadra come se lo stesse supervedendo dalla più alta torre dello stadio è Henrix Mxt’aryan (non segue dibattito). Paragone alla Brera: Mkhitaryan è il Charles Aznavour del calcio (e non perché sono entrambi armeni e per una certa somiglianza fisica, ma per la classe che li accomuna).
Flavia (Forum Substack) scrive su Sanremo: «Mi vengono in mente tante connessioni e ricordi (grazie!) e pesco nella memoria Cigliano in ammollo che trovai ad una conviviale Kivanis invitato da mio papà (n’era il presidente in carica) e che suonò mirabilmente standard jazz con la sua chitarra e fu generosissimo. Rievocando il maestro Cinico Angelini e l’ossimoro del suo nome mi viene in mente... chi lo doveva dire all’Amoroso di essere citata da lei? Troppa grazia... Condivido tante sue riflessioni, mi fa piacere che si è ricreduto su Madame, un’artista. Poi adoro le considerazioni a pelle. Apprezzo infinitamente la sua sincerità».
Grazie, è lei che è adorabile.
P.S. Credo che fosse Franco Cerri, il grande chitarrista jazz, l’uomo in ammollo (una delle pubblicità più indovinate), e non Fausto Cigliano.
Pio Ciampa è antisanremista: «Che bella recensione, ma il Festival, quello non riuscirò mai a guardarlo. Amadeus e Fiorello andrebbero bene come animatori in un villaggio turistico o su una nave da crociera. Le vacanze me le organizzo da me. La realtà è scadente (citazione Sorrentino) ma il Festival è pessimo».
Caro Pio, la prego di cercare la canzone La rondine, nelle due versioni, quella del padre (Mango) e quella della figlia (Angelina), cantata proprio all’Ariston in forma di requiem. Lo faccia, non se ne pentirà: «Sai di vento del Nord / Sai di buono ma non di noi / Stessa luna a metà / Sei nel cielo sbagliato».
E si ricordi, grande Pio, che Sorrentino in Hanno tutti ragione introduce ogni capitolo con versi delle canzoni italiane più belle. Alcune di queste canzoni sono sanremesi. E si ricordi pure Tony Pagoda, il crooner protagonista di Hanno Tutti ragione, il quale sostiene che nelle canzoni del Quartetto Cetra e dei Ricchi e Poveri e, in generale, nella musica leggera italiana, c’è un’idea della vita che abbiamo perduto. E questa è una verità, mi disse Sorrentino, «tenuta nascosta peggio di un segreto da loggia massonica». E poi aggiunse che nella canzone italiana c’è «il sentimento nudo e puro dell’esistenza (se vuole, lo stesso che c’è nei primissimi film dei fratelli Lumière). Quelle canzoni ci dicono con semplicità cose profondissime e difficilissime da dire altrimenti. Pensi a Ornella Vanoni: “Proviamo anche con Dio non si sa mai”. Pensi a Anna Oxa: “L’imponderabile confonde la mente”. A Patty Pravo: “Sono tutti degli eroi quando vogliono qualcosa”». Ecco queste ultime due canzoni (di Anna Oxa e Patty Pravo) erano canzoni sanremesi purosangue. E l’elenco, mi creda Pio, sarebbe lunghissimo.
Davide Casanova scrive del docufilm su Gaber: «Ben ritrovato, è sempre un piacere. D’accordissimo sulla mancanza di passione di Io, noi e Gaber. Il grande Giorgio avrebbe meritato ben altro. Per i miei 70 anni (che tra tre suoneranno) ascolterei volentieri Gaber in La risposta al ragazzo della via Gluck.
Se dovessi scegliere il miglior Gaber propenderei anch’io per il primo, ma Gaber è grande nella sua totalità. L’ho visto a Riccione troppi anni fa. Sul palco da solo trasmetteva un’energia che la sua calma e moderatezza non avrebbero mai fatto presupporre.
Se potessi scegliere chi dovesse essere ancora vivo sarebbe tra i primi dieci in classifica.
Continui a scriverci mi raccomando».
Grazie Davide, anche per l’idea, bellissima, di chi dovrebbe essere ancora vivo. Prima o poi facciamo il catalogo, ma sarebbe bello affiancarlo a un catalogo di chi dovrebbe essere già morto (a questo proposito, ho un po’ di nomi che mi frullano in testa).
L’elenco di quelli che dovrebbero essere già morti mi ha fatto venire in mente Christopher Hitchens quando ricordava le infinite classificazioni del termine “idiota” secondo Kingsley Amis: idiota semplice, povero idiota, maledetto idiota, fottuto idiota. Racconta sempre Hitchens che una volta a un pranzo con gli Amis, padre (Kingsley) e figlio (Martin), fu stilato l’elenco dei «primi undici idioti del cazzo» tra i grandi del momento. John Berger fu scelto, all’unanimità, come capitano della squadra.
Prima di congedarci dal sempre rutilante Hitchens, una sua penultima provocatoria citazione: «John Lennon, un fesso del mondo dello spettacolo». Iinfine, ancora una sua citazione che vorrei dedicare a Paolo Conte (unica prova dell’esistenza della grandezza nell’epoca meschina in cui viviamo?): «La poesia non è parola elevata la livello della musica, ma musica calata al livello della parola».
Ritorniamo a Gaber che prende in giro Il ragazzo della via Gluck di Celentano.
La canzone del Molleggiato è reazionaria, nel senso in cui fu reazionario Pasolini (ma in certe fasi della storia sono i reazionari a essere rivoluzionari). E, infatti, Pasolini corteggiò a lungo Celentano per fare un film con lui.
Gaber si schierò dalla parte di un povero ragazzo e della sua morosa che vogliono sposarsi e mettere su casa, ma il loro sogno si infrange contro il pionierismo ecologico di Celentano che intende radere la casa al suolo e al posto suo farci un bel prato. Gaber fece presente il dramma dei due giovani ad Adriano con il garbo che si deve a un vecchio amico.
«Morta la madre rimasto solo
Pensa alle nozze e alla morosa
Che già prepara il velo da sposa
Ed il corredo per la sua casa
Per quella casa fitto bloccato
Tremila al mese spese comprese
Lui la guardava tutto contento
E aspirava l’odor di cemento».
Hit parade dei cantanti italiani secondo Gigliola Beniamino: «A Gaber preferisco il suo paroliere. Battiato mi turba. Conte lo vorrei sul pianerottolo. Mina se dovessi fare ancora sesso, non si sa mai. Un bacio».
Il paroliere inteso come Umberto Simonetta o come Sandro Luporini? Perché nel primo caso capisco, nel secondo proprio no. E mi ritorna in mente l’eterna querelle su chi sia stato il miglior paroliere di Battisti: Mogol o Panella? Personalmente non ho dubbi («Per te che un errore ti è costato tanto / che tremi nel guardare un uomo e vivi di rimpianto»).
Gustava De Feo chiede una precisazione: «Intende Italo come parente con il mio cognome?».
Intendo Italo De Feo ma anche Sandro De Feo. Mi faccia sapere
(fine della quarta puntata del Joker più lungo mai scritto – continua)
Mi manca il fiato…quando avrò riletto, capito e meditato su tutta la massa di idee , stimoli e affermazioni dell’ultima puntata cosa farò ? Forse nessun commento ma sicuramente contenta degli intrecci letterari e non, avventurosi e anche azzardosi conosciuti.
Grazie per il divertimento!