Scusate l’assenza ma sono stato travolto da una forma acuta di nostalgia (“Nostalgia, nostalgia canaglia” cantava Al Bano e la cantava sicuramente meglio di come canta l’inno di Mameli).
Nostalgia di tre persone in particolare, tre persone diversissime tra di loro. La prima di queste tre persone è Alberto Arbasino. Ecco dieci vecchi e nuovi pensierini (un po’ arbasineggianti) su di lui.
1) Più nessuno al mondo sa e più nessuno al mondo saprà tutte le cose che sapeva Alberto Arbasino.
2) Se fossi un dee-jay e facessi le recensioni con i dischi, per Arbasino butterei sul piatto Senza fine di Gino Paoli per dire che la sua scrittura era continua, non si fermava mai. La sua scrittura era il suo elettroencefalogramma (ma non il suo elettrocardiogramma, purtroppo). Lavori in corso perenni i suoi (ha riscritto più volte il suo capolavoro Fratelli d’Italia). Un work in progress all’inseguimento del world in progress. Il dee-jay mette un altro disco: Il mondo (non si è fermato mai un momento) di Jimmy Fontana.
3) La migliore definizione dell’opera sterminata di Arbasino sta nelle sei parole proustiane usate da Paolo Milano, recensore principe dell’Espresso, a proposito di L’anonimo lombardo: «La frivolezza è uno stato violento».
4) La stroncatura più bella è dell’anonimo inglese che su Punch, storica rivista di satira british, recensì così L’anonimo lombardo: «Chi avrebbe pensato cinquant’anni fa che la perversione sessuale è perfino capace di diventare noiosa? Sarebbe ora che il romanzo riprendesse a descrivere cosce di femmina».
L’Anonimo Punch fu un precursore di Papa Bergoglio (“troppa frociaggine”)? In materia, ci sarebbe da fare più o meno satireggiando un lungo e periglioso excursus su romanzo e omosessualità, ma sarebbe troppo lungo davvero. Lasciando da parte i classici, meritano una menzione d’onore certi romanzi belli e un po’ dimenticati come il cinematografico Il bacio della donna ragno di Manuel Puig e il dolcemente sinistro e molto londinese Riti notturni di Colin Wilson, felice remake nella Londra anni Sessanta di certe atmosfere proprie di un’altra Londra, quella di Jack lo Squartatore.
Il problema nasce quando si affrontano i libri di Walter Siti. Si addice o non si addice, papale papale, a questi ultimi il motto del Papa? E con Pasolini, da Ragazzi di vita a Petrolio, passando per Teorema e vagheggiando gli inediti sonetti in forma petrarchesca (attualmente secretati come si fa con i documenti dai quali dipende la sicurezza nazionale) che PPP dedicò a Ninetto Davoli, come dobbiamo comportarci? Di sicuro, letto l’ingegnoso romanzetto, appena pubblicato da Sellerio, Il crimine del buon nazista di Samir Machado de Machado, un classico delitto nella camera chiusa (che però nell’occasione è un dirigibile Zeppelin) ai tempi di Hitler, “troppa frociaggine” è la recensione più giusta, quella che rende meglio l’impressione di fondo. Infine, a chiudere l’excursus, c’è la definizione («l’orgoglio del sedere») data da Arbasino del Gay Pride, che trovava una ben strana forma di autostima (balletto di Elly Schlein compreso).
5) L’istituto retorico-stilistico preferito da Arbasino era la lista, l’elenco. Quasi una mania che proveniva (enciclopedisticamente) dall’Illuminismo e (librettisticamente) dal catalogo-è-questo di Don Giovanni. In effetti, c’è un dongiovannismo intellettuale in Arbasino, nel senso che ogni lasciato (libro, spettacolo, quadro, opera, concerto) è perso. Il vizio dell’inventario (pure nel senso di inventario fallimentare, con «l’autorità del fallimento» rivendicata da Fitzgerald, primo amore arbasiniano) discende anche da Noè. È l’appello, la checklist dei passeggeri a bordo, che il capitano dell’arca fa prima di salpare per sottrarsi allo tsunami universale (che, forse, c’è già stato e non ce ne siamo ancora accorti). Ciò che Arbasino spunta, bulimicamente, dalla sua lista sono le voci della dote, del corredo di una (plurimperiale) civiltà sull’orlo dell’estinzione.
6) Mary McCarthy con un colpo di genio profetico diceva che (novecentescamente parlando) non conta tanto che il romanziere scriva romanzi. L’importante è che il romanziere sia un romanziere e che scriva (tutto quello che gli pare tranne romanzi) da romanziere. Così è accaduto che Arbasino, romanziere senza romanzo, sia stato più romanziere di tutti.
7) Però poi il romanzo, come certe altre cose, semplicemente si fa ma non si dice (ad Arbasino piaceva più dirlo che farlo).
8) Arbasino fu il primo in Italia a parlare degli enfant prodige Lolita Haze e Holden Caulfield. A proposito di Holden, dicono che Salinger, eremita nel New Hampshire, stilasse tutto il giorno elenchi di parole: uno stilista (nel senso di asso dello stile e non di sartoria) diventato stilita. Anche Arbasino fu uno stilista-stilita? No, lui cercò strenuamente la verifica dei piaceri (mentre altri cercavano la verifica dei poteri, allusione a Franco Fortini, uno dei più loschi figuri mai aggiratisi nel mondo delle lettere nazionali).
9) Notevole in certe foto la somiglianza di Arbasino con Freddie Mercury dei Queen (non soltanto per i baffi ma anche per il senso della scena). Il deejay chiude lo show con le note di We Are The Champions.
10) Grazie, maestro Arbasino, per le magnifiche (p)rose.
1) Assenza giustificata. Per questa volta passi, ma che non succeda più.
2) Se fossi un dee-jay a quelli indicati dal Joker aggiungerei "Eternità" cantata dai Camaleonti con la voce di Tonino, il re del vibrato.
3) In questo periodo sto facendo una full immersion nei libri di Colin Wilson, quel cognome da terzino (do you remember Banks, Cohen, Wilson…). Prima di leggerlo mi ero fatto l’idea che fosse un incrocio tra Luciano Bianciardi e Giorgio Scerbanenco con un retrogusto alla Umberto Simonetta; adesso confermo quell’idea ma c’è anche qualcosa di più che ancora non sono riuscito a mettere el tutto a fuoco. Comunque, un fuoriclasse.
4) Se posso dire la mia su libri e frociaggine, voto per "Maurice", di E.M. Forster. Un romanzo che nel 1959 era una sfida aperta all’ordine costituito della Gran Bretagna, un Paese nel quale l’omosessualità era ancora un reato penale, ma che Forster non volle mai pubblicare in vita. Alla sua morte lasciò il manoscritto tra le carte con un appunto che diceva: «Pubblicabile, ma ne vale la pena?» e il libro uscì solo nel 1971, un anno dopo la sua scomparsa. Una scelta che vale più di 100 sfilate del Gay Pride. La pubblicazione postuma oltre a evitargli censure e guai giudiziari ha sottratto "Maurice" al rischio di essere trasformato in uno scandalo, in una battaglia ideologica, in un manifesto politico, finendo così per mettere in ombra la sua principale qualità, quella di essere un romanzo magnifico.
che cosa avete contro la nostalgia è l'unico rimedio che rimane a chi è diffidente verso il futuro. Paolo Sorrentino. Bentornato.