JOKER DIABOLIKO
La suspense di quelle storie era intollerabile, il fascino di quella figura mascherata di nero era irresistibile. E poi faceva paura. D'altra parte, avevo 10 anni...
Il primo Diabolik della mia vita risale probabilmente al 1964. Avevo dieci anni e un compagno di scuola del mio fratello più grande (frequentavano il glorioso istituto Pezzullo per ragionieri, la Bocconi di Cosenza) mi allungò di nascosto un albo del Re del Terrore che era stato inventato dalle sorelle Giussani a Milano nel 1962. Lo fece di soppiatto perché è vero che in casa mia i fumetti avevano avuto sempre libero accesso (Tex, Blek Macigno, Capitan Miki, Kinowa, ma anche Topolino, Cucciolo e Beppe, Tiramolla ecc.), ma, per quanto io fossi precoce al tempo e gran divoratore di romanzi, fotoromanzi e rotocalchi, Diabolik era effettivamente troppo per un bambino della mia età. Avevo 10 anni. Non permetterò mai a nessuno di non dire che è la più bella età della vita.
Piero, così si chiamava il compagno di scuola di mio fratello, aveva la mamma milanese come le sorelle Giussani e magari questo era uno dei motivi (patriottico nel caso, anzi matriottico) per cui era appassionato del Re del Terrore.
L’impressione che Diabolik mi fece fu molto forte. La suspense di quelle storie era intollerabile, il fascino di quella figura mascherata di nero era irresistibile. E poi faceva paura. Una specie di paura che avevo provato soltanto quando molti anni prima mia nonna mi aveva raccontato la storia di Barbablù, il primo serial killer e maniaco sessuale incontrato nella mia vita. Altri personaggi mi avevano fatto paura, il Mefisto di Tex e Kinowa su tutti, ma quelli erano “cattivi” del Far West, di un’America antica e lontana. Diabolik era un cattivo del presente, contemporaneo, cittadino, europeo.
Un’altra cosa mi aveva subito conquistato delle storie di Diabolik, una cosa che non riguardava il contenuto dei racconti, ma il modo in cui erano disegnati personaggi, ambienti, azioni. Adesso so che il gusto, l’arte e il tratto degli illustratori di Diabolik all’origine lasciavano ancora molto a desiderare, erano basici, primitivi, elementari, e si sarebbero evoluti con il tempo. Ma allora mi sembrarono una novità sconvolgente. Erano fumetti nervosi, essenziali, moderni. Molto tempo dopo avrei capito che l’asciuttezza dei fumetti di Diabolik era parente, cugina prima, dell’asciuttezza dei poeti della Linea Lombarda (Raboni, Cucchi ecc.). So che questa affermazione procurerà qualche infarto (e molto livore nei miei confronti) in quelli che si spacciano per letterati in Italia, ma le cose stanno proprio così: Diabolik è pura Linea Lombarda.
Essendo un diaboliko quasi della primissima ora, capirete che ho aspettato con trepidazione e curiosità i tre film – Diabolik (2021), Diabolik - Ginko all’attacco! (2022) e Diabolik - Chi sei? (2023) – che i Manetti Bros. (Marco e Antonio) hanno dedicato al Re del Terrore.
Tra l’altro, i fratelli Manetti, così bravi, allegri e spiazzanti, sono tra i miei cinque registi italiani preferiti. Ho delirato per il loro Ammore e malavita che ritengo il secondo musical italiano più bello di sempre (al primo posto c’è, ovviamente, La Gatta Cenerentola, guarda caso anche questo un musical napoletano).
La Trilogia mi è molto piaciuta. I Bros. hanno saputo restituire cinematograficamente il candore e il lindore impareggiabile dei fumetti delle sorelle Giussani e del fumetto in genere. E mi ha quasi commosso che una coppia di fratelli e una coppia di sorelle di generazioni lontane (Angela e Luciana Giussani erano nate rispettivamente nel 1922 e nel 1928, Marco e Antonio Manetti sono venuti al mondo rispettivamente nel 1968 e nel 1970) abbiano alla fine trovato un’intesa perfetta.
Una delle cose che mi ha più (amaramente) divertito, a proposito della trilogia di Diabolik, sono state le stroncature. I Bros. sono stati accusati di tutto: d’essere lenti, ingenui, dilettanteschi, vuoti, disastrosi. La verità è che è vero il contrario. I Manetti sono stati diabolikamente raffinatissimi e hanno collegato il fumetto Diabolik al coevo cinema d’azione italiano della prima metà degli anni Sessanta che aveva una sua velocità au ralenti sempre più apprezzabile vista la frenesia in auge . Uno dei più seri problemi di oggi consiste nello scambiare ciò che è sofisticato per grossolano e ciò che è grossolano per sofisticato. Siamo messi così. Anzi, sono messi così.
Una delle virtù dei Bros. è l’abilità nel dirigere gli attori (che con loro rendono al meglio forse perché l’estrosità dei due registi li diverte da pazzi e li riporta all’essenza del loro mestiere, che è un gioco, un facciamo finta che). Di come lavorano gli attori in Italia (ma anche fuori d’Italia) non parla mai nessuno. Si può parlare di una partita di calcio non prendendo in considerazione i calciatori in campo? No, evidentemente. Eppure quasi sempre si parla di un film a prescindere dagli attori.
L’unico attore che mi è sembrato fuori posto nel cast della Trilogia è stato Luca Marinelli che interpretava Diabolik nel film inaugurale. Poi, fortunatamente (per i Manetti Bros. e per gli spettatori), gli è subentrato nella parte Giacomo Gianniotti, sicuramente più credibile nel recitare un personaggio incredibile (la più grande dote di chi recita alla fine è una sola: saper rendere credibile l’incredibile e incredibile il credibile).
L’ultimo film della Trilogia (Diabolik – Chi sei?) mi è parso il più bello, il più diabolikamente manettiano e il più manettianamente diaboliko, anche grazie agli attori. Monica Bellucci, per esempio, ha interpretato con molto divertimento la Duchessa Altea di Vallenberg, la fidanzata dell’ispettore Ginko, l’anti-Eva Kant, sfoggiando (auto-parodicamente?) un delizioso accento francioso.
Massimiliano Rossi, che è napoletano, ha interpretato l’avvocato Manden con marcata dizione milanese alla Fabrizio Bentivoglio, nato nella capitale morale (e un filino mortale ultimamente), ma paradossalmente in Rossi, non milanese, l’accento risultava più autentico. L’avvocato Manden è il capo della batteria di balordi, «famelici e spietati», che riesce nell’impresa eccezionale di catturare sia Diabolik, sia l’ispettore Ginko. Sono balordi allo stesso tempo un po’ maglianeschi (nel senso della banda della Magliana e di Sollima), un po’ simonettiani (nel senso dello scrittore Umberto Simonetta), perfino un po’ pasoliniani (di un pasolinismo filtrato attraverso il Romanzo criminale di Sollima), ma forse, e in maniera filologicamente più coerente, sono soprattutto scerbanenchiani e, quindi, vallanzaschiani. Le Giussani sono la costola (fumettistica) del noir alla Scerbanenco.
L’ispettore Ginko è Valerio Mastandrea ed è dolentemente in parte, finalmente e giustamente riscattato nella nordica e razionale Clerville, ultimo domicilio conosciuto suo e di Diabolik, dal noantrismo, dall’eccessivo romanescheggiare di sue recenti interpretazioni (C’è ancora domani e la fiction tratta da La Storia di Elsa Morante).
Mi è successa una cosa curiosa guardando il terzo Diabolik. King, il crudele e astuto (ma non abbastanza) boss malavitoso alla cui corte cresce Diabolik bambino, interpretato da Paolo Calabresi, aveva una faccia che mi sembrava avere già visto da qualche parte. Non riuscivo a ricordare dove. Poi, l’illuminazione: King è uguale spiccicato allo scrittore Gianrico Carofiglio. Forse è solo un abbaglio dovuto alla mia deformazione professionale, ma un effetto collaterale di Diabolik – Chi sei? è stato quello di avermi fatto scoprire che Carofiglio potrebbe far furore al cinema nella parte del cattivo, del vilain. Non penso di prendere un abbaglio, ma Carofiglio potrebbe somigliare anche un po’, se si lascia crescere i capelli, a Mefisto di Tex.
E arriviamo alla primadonna, la grande star della saga di Diabolik: Eva Kant. La interpreta Miriam Leone e ammetto di non aver capito se la fa bene o male. Mi soccorre in questo frangente pieno di dubbi una rivelazione che mi fece Dino Risi: «Un’attrice di cinema deve essere bella. E basta così». E non aggiunse che a recitare ci pensa la macchina da presa, ma credo che qualcosa del genere fosse sottintesa nelle parole del grande maestro (così come, mi allargo, era sottinteso che anche un primattore deve essere sostanzialmente bello).
Guardando sullo schermo Miriam Leone (non mi stancherei mai di farlo, una volta l’ho vista pure dal vivo all’Ortigia Film Festival e l’effetto è stato lo stesso), deve essermi scattato qualcosa nell’inconscio perché ho sognato che intervistavo Eva Kant.
Il primo marzo 1963 lei, signora Eva Kant, fece la sua prima apparizione al Grand Hôtel Excelsior di Clerville. La storia si intitolava L’arresto di Diabolik ed era la terza avventura del Re del Terrore. Cosa ricorda di allora?
«Che ero scesa all’Excelsior di Clerville bella ed elegante come Grace Kelly (il mio ideale di donna) e che Diabolik, travestito da cameriere, cercò di rubarmi il Diamante Rosa, un gioiello tramandato di generazione in generazione nella famiglia Kant. Solo che il prezioso diamante era un falso, una banale copia, e lo dissi a Diabolik che quasi cercò di uccidermi e poi, cambiò idea, e mi bacio appassionatamente. Il primo dei nostri tanti baci appassionati.»
Ha contato quante volte Diabolik l’ha baciata?
«Le avventure sono quasi mille e anche se ci fosse un solo bacio a storia… Faccia lei il conto. Sa che il bacio appassionato è previsto dal copione?»
In che senso?
«Le storie di Diabolik hanno sempre lo stesso schema: lui cerca di fare un colpo, qualcosa va storto; l’ispettore Ginko, il suo acerrimo nemico, lo arresta o ci va molto vicino, allora intervengo io e lo libero, poi scappiamo nel nostro rifugio, contempliamo la refurtiva (di solito gioielli di enorme valore) e, alla fine, segue il Bacio Appassionato che suggella la fine dell’avventura».
Come diceva il vecchio Propp le fiabe, anche quelle nere come la sua e di Diabolik, le storie, sono tutte uguali.
«Eppure ogni volta sono diverse ed è questo il segreto della nostra ditta che dura da più di mezzo secolo.»
Torniamo alla prima volta. Tra lei e Diabolik c’è il classico colpo di fulmine. Ma lui è fidanzato con una certa Elizabeth, un’infermiera, bella, mora di capelli.
«La trova bella? Angela Giussani, l’autrice della serie di Diabolik, la donna che mi ha inventato, non la trovava granché e Mario Gomboli, che sin da quando era studente di architettura bazzicava la redazione di piazza Cadorna a Milano prima e quella di via Boccaccio, dove si trova ancora ora, quando parla di Elizabeth la definisce “una sciacquetta”. Angela Giussani, che era stata fotomodella e che era stata una delle prime, se non la prima donna in Italia, a prendere il brevetto di pilota, non voleva che la compagna di Diabolik fosse la classica pupa del gangster, la bambolona, voleva una donna forte al fianco del Re del Terrore, una che sapesse tenergli testa.»
Una come lei.
«Si ricordi che in quella prima avventura Diabolik viene condannato a morte e a salvarlo dalla ghigliottina ci penso io.»
Mandando sulla ghigliottina al posto di Diabolik un altro uomo, un uomo che la amava.
«Sicuro che mi amasse? Mi voleva possedere, esibirmi come un trofeo, è un’altra cosa, e arrivò a ricattarmi perché lo sposassi. Era il segretario del ministro della Giustizia, un politicante. Ha avuto quello che si meritava.»
Non cerchi di buttarla in politica per tentare di scagionarsi, lei è spietata, sanguinaria. Per diventare Lady Eva Kant provocò la morte di suo marito, Lord Anthony Kant.
«Anthony (mi ripugna già il solo nominarlo) era un individuo spregevole. Aveva costretto mia madre a suicidarsi e aveva ucciso mio padre, suo cugino Lord Rodolfo Kant, un uomo debole purtroppo che annegava le sue amarezze nell’alcol. Io mi sono ripresa soltanto quello che mi era dovuto.»
Che bella famiglia. Senta, signora Kant, che ne pensa delle sue colleghe?
«Cosa intende per colleghe?»
Barbarella, Modesty Blaise, Satanik, Valentina, le grandi eroine del fumetto.
«Non credo di avere molto in comune con nessuna di loro.»
Nemmeno con la Valentina di Crepax di due anni più giovane di lei e che somigliava, così come lei somiglia a Grace Kelly, a un’altra attrice leggendaria: Louise Brooks?
«Su Valentina la penso come Mario Gomboli. Valentina è ai limiti del porno, si vede troppo pelo pubico in quelle tavole. Di me non si è mai visto nulla. Come giustamente ha ricordato, io sono come Grace di Monaco, appartengo a quello stile lì.»
Credo che Alfred Hitchcock avrebbe perso la testa per lei come la perse per Grace Kelly.
«Ah ah, Hitchcok, lui sì che era diabolico. E, siccome di bionde se ne intendeva, la ringrazio per il complimento.»
Mi spiega come ha fatto, vestitissima, a sedurre generazioni di italiani.
«Proprio perché non mostravo nulla. Il segreto del vero erotismo.»
Abbiamo dovuto aspettare un divertissement di Manara per vederla nuda.
«Non vedeva l’ora, si capiva che smaniava. Ma ai grandi maestri certe cose sono consentite.»
Satanik mostrava generosamente i suoi reggicalze.
«Satanik era una strega, era orribile e si trasformava in una bella ragazza (un po’ volgare per i miei gusti) grazie alle sue arti magiche. Per favore, non facciamo paragoni.»
Valentina era elegantissima e perfettamente alla moda del suo tempo, con quel casco di capelli alla Vergottini.
«Dice che è meglio del mio chignon? Allora si portavano i capelli cotonati, un orrore (ci sono certe immagini di Mina che, tricologicamente parlando, gridano vendetta). Il mio chignon era un richiamo alla tradizione e anche una sfida. Sa chi era l’unico personaggio che portava lo chignon nel mondo dei fumetti? Nonna Papera. Ci voleva coraggio per rilanciarlo, coraggio che non è mai mancato ad Angela Giussani, e a sua sorella Luciana, due donne straordinarie per la loro epoca.»
Forse anche per questa epoca. Ho sempre pensato che Milano non ci ha guadagnato passando negli anni dall’essere la città delle sorelle Giussani ad essere la città di don Giussani.
«Si ricordi che nel 1974 Diabolik è stato l’unico fumetto che ha fatto regolarmente campagna nel referendum a favore del divorzio.»
Era un pannelliano nell’anima Diabolik. Mi spiega perché all’epoca sequestravano sempre i fumetti di Diabolik, che io trovo assolutamente candidi, per incitazione al crimine?
«Dicevano così ma la ragione vera era sessuale. Era un Paese bigotto. Una volta, ricordo, ci sequestrarono perché apparivo in una scena in bikini. Un’altra volta perché, alla fine di un’avventura, Diabolik ed io ci avviavamo mano nella mano verso il letto che appariva sullo sfondo. Dissero che non eravamo sposati e che quella scena era da censurare.»
Siete stati la prima coppia di fatto del fumetto.
«Confronti un po’ di date. Il primo marzo 1963 appaio per la prima volta in edicola, il 18 aprile 1963 nasce il figlio di Mina e Corrado Pani. Per aver avuto un figlio da un uomo sposato, Mina fu coraggiosissima e pagò un prezzo altissimo. Fu epurata dalla Rai, le case discografiche non la facevano incidere più. Cose talebane. Quelli erano i tempi. Diabolik, un ladro e un assassino, e io, la sua complice, forse abbiamo fatto qualcosa di utile per rendere quell’Italia lì un po’ più civile.»
Mina e Corrado Pani vanno inseriti nell’elenco degli eroi del Risorgimento, quello che comprende Amatore Sciesa, Pietro Micca e così via. In questo elenco, secondo me, ci dovrebbe essere un posto anche per voi.
«Questa è bella. Diabolik la troverebbe molto divertente.»
Lei lo ama ancora molto Diabolik?
«Alla follia.»
E Diabolik la ama ancora molto?
«Diabolik mi ama come la prima notte all’Excelsior di Clerville. Mi ama come mi amava nel centesimo numero delle nostre avventure, La morte di Eva, uscito nel novembre del 1967. Se la ricorda la scena?»
Mi rinfreschi la memoria, per favore.
«L’ispettore Ginko punta la pistola contro Diabolik, che è venuto a liberarmi, e gli intima di buttare il pugnale. Diabolik gli risponde che tanto io riuscirò a salvarmi anche senza il suo aiuto. Ginko lo gela dicendo: “Eva Kant è morta!”. A quel punto Diabolik lascia cadere il pugnale a terra e invoca il mio nome: “Eva!”. Poi porge i polsi a un esterrefatto Ginko e gli si consegna dicendogli: «Sono un uomo finito… Hai vinto, Ginko!”. Ecco, Diabolik mi ama come allora.»
Ogni tanto litigate?
«Come tutte le coppie».
Come facevano Raimondo Vianello e Sandra Mondaini nelle loro scenette coniugali?
«Sa che trovavo Raimondo Vianello molto affascinante?»
Le credo. L’ho conosciuto, una volta lo intervistai. E fu una intervista bellissima (tutto merito suo, di Vianello). Fu un’intervista anche un po’ malinconica, dolcemente malinconica. Senta, ma trovava affascinante anche Ugo Tognazzi?
«Aveva un suo perché, anche se era un perché completamente diverso rispetto a quello di Vianello.»
E Marcello Mastroianni le piaceva?
«Mastroianni sarebbe stato un Ginko divino e forse me ne sarei potuta innamorare al punto, addirittura, di scappare con lui. Oh Dio, cosa sto dicendo? Questa non la scriva. Sa, Diabolik è un tipo geloso. Ma mi faccia altre domande sugli attori, io li adoro gli attori»
Vittorio Gassman?
«Lui sarebbe stato un grande Diabolik sullo schermo, un Diabolik quasi shakespeariano, con un fondo duro e buio di depressione che avrebbe fatto capire tante cose.»
Alberto Sordi?
«Sordi rappresentava il tipo di italiano che Diabolik e io abbiamo sempre detestato. Dicono che Sordi ha denunciato, messo sotto accusa quel tipo di italiano interpretandolo. Ma non è vero, quell’italiano lì Sordi lo ha galvanizzato, lo ha corroborato, lo ha assolto.»
«Ve lo meritate Alberto Sordi!» gridava Nanni Moretti in Ecce Bombo.
«Aveva ragione.»
Ma quando litigate, lei e Diabolik, per quale motivo lo fate?
«Mi ricordo che nella stagione del femminismo montante litigavo con lui perché non volevo essere prevaricata. Altre volte abbiamo litigato perché lui è troppo violento, in certi casi inutilmente.»
Stavate per lasciarvi in un’occasione.
«In più di sessant’anni di rapporto può capitare. Si riferisce allo scrittore Franco Regan?»
Lei se ne innamorò perdutamente.
«Era un periodo che mi sentivo oppressa da Diabolik, troppo protetta. Lui, a volte, mi chiamava adorabile rompiscatole o adorabile pasticciona. In redazione arrivavano lettere di lettrici che protestavano per come mi trattava e anche io mi arrabbiai. Il nostro è un rapporto alla pari. Così ha voluto fin dall’inizio Angela Giussani e così deve essere.»
Non avete avuto figli.
«Con la vita che facciamo è impossibile, dobbiamo sempre nasconderci, dobbiamo essere sempre pronti a scappare. Nemmeno un cucciolo possiamo tenere, nemmeno un micio o un canarino.»
Caso mai mi sembrate tipi da tenere in casa come pet un boa constrictor.
«È questa l’idea che si è fatta di noi?»
Non avete avuto figli, però c’è Bettina.
«Bettina! Da bambina capitò per caso nel nostro rifugio, era deliziosa. Mi ricordo che Diabolik ne fu molto colpito, intenerito. Poi crescendo Bettina si è cacciata una volta nei guai e abbiamo dovuto salvarla. Sì, Bettina, è un po’ il surrogato della bambina che non abbiamo potuto avere. Ma non mi faccia commuovere. Non è nello stile del mio personaggio. Diciamo che non posso farlo per ragioni di contratto.»
Capisco, cambiamo argomento. Lei cucina benissimo, Eva.
«Diabolik una volta ha detto: “Mia moglie cucina di rado. Ma quando ci si mette, può fare concorrenza a un grande cuoco”».
Lei somiglia a Grace Kelly e Diabolik somiglia a Robert Taylor, il bel tenebroso di Hollywood.
«Erano i modelli di Angela Giussani. Però Diabolik somiglia a Taylor solo nel viso, il corpo, il fisico è quello di Johnny Weissmuller, il campione di nuoto che vinse cinque medaglie d’oro alle olimpiadi e che fece Tarzan al cinema.»
Che ne pensa del film che il regista Mario Bava girò su Diabolik e in cui affidò la sua parte all’attrice Marisa Mell?
«Su quel film è stato detto tutto e il contrario di tutto. Mi resta un rimpianto. Anzi due».
Quali?
«All’inizio, come succede durante la preparazione di un film, si immaginò un altro cast. La mia parte doveva essere interpretata da Virna Lisi e, senza nulla togliere a Marisa Mell, sarebbe stata perfetta perché Virna Lisi appartiene alla categoria di Grace Kelly, quel tipo di bionda, quel tipo di classe. Marisa Mell era più yé-yé come si diceva allora. E caso mai Marisa Mell sarebbe stata più adatta, per il suo tipo di bellezza e spregiudicatezza, a interpretare il ruolo di Satanik. Capisce?»
Capisco, un filino troiesca. E l’altro rimpianto?
«Sempre nel corso della preparazione del film si fece il nome di Alain Delon per la parte di Diabolik. Peccato, un’occasione mancata. Sarebbe stata una scelta molto più felice di quella che poi finirono di fare. John Phillip Law, l’attore americano, non c’entrava quasi niente con Diabolik. Comunque, lo sa che secondo una rivista di cinema giapponese Diabolik di Mario Bava è il film più bello della storia del cinema italiano di tutti i tempi?»
Allora chissà cosa avrebbero detto i cinefili giapponesi se nel cast ci fossero stati Virna Lisi e Alain Delon. E di Miriam Leone che la interpreta nei film dei Manetti Bros. cosa pensa?
«Non è Virna Lisi, ma nessuna sarà più Virna Lisi, però la direzione è quella giusta.»
Prima di incontrare Diabolik lei ha avuto una vita non poco avventurosa.
«Ho fatto spionaggio industriale. Rubavo formule segrete che valevano molto denaro. Con una di queste riuscii ad accalappiare Anthony Kant e a farmi sposare.»
Ma senza mai andarci a letto.
«Io andare a letto con Anthony Kant? Avrei preferito morire. Le ho già spiegato che quello fu un matrimonio necessario perché consumassi la mia vendetta.»
E fu poi cantante di locali notturni.
«Mi esibivo in un night, facevo anche la ballerina. Avevo il mio pubblico. Avevo un sacco di groupie (maschi e femmine) che mi adoravano, si sarebbero gettati nel fuoco per una mia carezza.»
Ma lei era irraggiungibile.
«Sì, sono stati davvero pochi quelli a cui ho permesso di raggiungermi. In realtà, uno solo e credo che sia inutile farne il nome.»
A proposito, si pronuncia Diabolìk o Diabòlik?
«L’accento va sulla “o”.»
Avrei detto Diabolìk, visto che il personaggio fu ispirato ad Angela Giussani da Fantômas, il famoso ladro dei romanzi di Allain e Souvestre, che era francese.
«È vero, Angela Giussani aveva come modello Fantômas (gli occhi mascherati, ecc.), ma Diabolik non si pronuncia alla francese. Così come, mi faccia il favore di farlo sapere, Eva Kant si pronuncia Eva Kant e non Eva Kent come ogni tanto si sente dire.»
Le Giussani la chiamarono Kant per il filosofo?
«Una volta ho letto un libro di pettegolezzi sui filosofi, una specie di Novella 2000 dei maître à penser. Me lo consigliò proprio Franco Regan, lo scrittore di cui mi ero innamorata, che voleva mi facessi una cultura. In quel libro, che era molto divertente, ho scoperto che Immanuel Kant era alto un metro e cinquantasette, la stessa statura di Friedrich Nietzsche e di Martin Heidegger.»
Cosa vuole dire con questo?
«Niente di particolare, è che a volte Franco mi manca e cerco di immaginare come sarebbe stata la mia vita accanto a lui.»
Si arrabbia se le dico una cosa?
«Faccia pure, ma non credo che le convenga farmi arrabbiare.»
Ho avuto sempre il sospetto che Diabolik sia rimasto un po’ innamorato di Elizabeth, la sua prima fidanzata, l’infermiera che quasi lo mandò alla ghigliottina.
«Preferirei non parlare di Elizabeth, quella donna ha torturato Diabolik a lungo e avrebbe continuato a farlo sino alla sua morte se non fossi intervenuta io a liberarlo.»
Un altro sospetto. In tutta la storia di Diabolik mi è sembrato una volta sola che il Re del Terrore potesse aver trovato un amico. Parlo dello scrittore Saverio Hardy. Hardy è omosessuale e viene ricattato per questo. Diabolik lo aiuta…
«Conosco la storia. Fu una di quelle più fortemente volute da Luciana Giussani che amava i temi civili. Secondo lei, la popolarità dei fumetti poteva permettere di parlare al pubblico di questioni sociali. Un lettore aveva scritto una lettera chiedendo perché negli albi non si fosse mai parlato di omosessualità e Luciana decise che era una richiesta da soddisfare. Ci volle molto tempo prima che Gomboli trovasse la storia giusta e intanto Luciana era morta, però il suo desiderio alla fine fu esaudito.»
Ecco mi chiedevo ma se tra Diabolik e Saverio Hardy (che, tra l’altro, è scrittore come Franco Regan)…
«Fermo lì. Voi giornalisti siete sempre a baloccarvi con questi giochini. Per voi sarebbero gay Batman e Robin, Stanlio e Ollio, Tex Willer e Kit Carson. A Diabolik piacciono le donne. Anzi, per essere più precisi, a Diabolik piace Eva Kant. Comunque Saverio Hardy era un gran bel personaggio.»
Prima parlavamo di vendetta, un genere sentimentale (se si può dire così, ma nel suo caso penso proprio che sia la definizione giusta) che lei frequenta molto. In I segreti di Morben, la storia che festeggiò i suoi cinquant’anni di attività, lei chiude il conto rimasto aperto con l’aguzzina che l’aveva torturata in gioventù.
«Nella mia adolescenza ci fu la terribile esperienza di un collegio lager. Ogni tanto bisogna riaprire i vecchi armadi e svuotarli degli scheletri che li ingombrano. Pulizie di primavera. Conosce il finale di quel meraviglioso romanzo che è Il Grande Gatsby (anche lì il protagonista è un gangster, tra l’altro) di Francis Scott Fitzgerald, romanzo che, curiosamente, sia Franco Regan sia Saverio Hardy consideravano il più bello di sempre?»
A memoria. Ma mi conceda il privilegio di sentirlo dalla sua viva voce, Lady Kant.
“… così continuiamo a remare, barche contro corrente, risospinti senza posa nel passato”. Ogni tanto anche io ritorno nel passato e lo riapro come un vecchio libro per cercare un significato alla mia vita.»
Tutto ciò è molto romantico.
«Non lo ha ancora capito che Diabolik e io siamo rimasti gli ultimi romantici?»
Qual è stato il regalo più prezioso che le ha fatto Diabolik?
«Mi ha regalato le pietre più belle e più rare, ma il regalo a cui tengo di più non me lo ha fatto lui, ma Franco Regan, lo scrittore di cui mi ero invaghita (ricambiatissima). Sa, quelle poesie dei giapponesi, gli haiku? Franco un giorno me ne regalò uno che aveva scritto per me. Diceva: Sui crisantemi bianchi / le forbici / esitano un po’. Non ho mai capito bene cosa vuole dire, ma lo trovo bellissimo.»
Regan le disse che lo aveva scritto per lei?
«Sì e avrebbe scritto anche altre cose per me. Desiderava che fossi la sua musa.»
Era un gran bugiardo Franco Regan, lady Kant. Quell’haiku non era suo, è di Natsume Soseki, un poeta ottocentesco di Tokio. Regan l’aveva rubato.
«Davvero? Allora non c’è proprio niente da fare: il mio karma è di essere amata dai ladri.»
Lasciare fuori il maestro dal corriere è stata una bestialità imperdonabile. Cazzullo, Mereghetti, Ualter Veltroni una noia mortale. Grazie maestro a presto, spero.
Pizzulianamente parlando, tutto molto bello. Merita però una citazione anche Gino Sansoni, editore, per modo di dire, e marito, sempre per modo di dire, di Angela Giussani. Il personaggio dell’ispettore Ginko prende il nome proprio da lui, Gino con una K in mezzo, e ha sempre una cravatta rossa e nera in onore del tifo scatenato di Gino Sansoni per il Milan.
Sono convinto che Sansoni, per tutto quello che ha fatto e per come lo ha fatto, sarebbe un personaggio perfetto per un pezzo del Joker. In altra sede io ho cercato di raccontarlo, ma il Joker sarebbe un’altra cosa. Ubi maior minor cessat.