Gustava de Feo scrive: «Al tempo di Non arrossire Giorgio Gaber era insuperabile. Il documentario Io, noi e Gaber è noioso, didascalico, senza passione.
Ho letto che è stato il suo compleanno. Che canzone ascolterebbe idealmente per l’occasione? Qualcosa di Paolo Conte?».
Per l’occasione, che è stata speciale (70), ho ascoltato Starman di David Bowie. Avvicinandosi il (mio) tempo di essere lanciato nello spazio mi preparo la colonna sonora.
P.S. Mi toglie una curiosità, gentile Gustava? Lei porta un cognome che è stato importante nella storia della letteratura e del giornalismo. Parente?
Luigi Catalucci scrive: «Sono pienamente d’accordo: il primo Gaber era da preferire!».
Lorenzo Frassoldati scrive: «Il grande Gaber è il primo: surreale, stralunato, fuori dagli schemi, eccentrico… Non quello delle filastrocche pseudo politiche che gli scriveva Sandro Luporini».
Domenico Traversi è in disaccordo: «Gaber è questo e quello. E tanto altro».
Sempre Domenico Traversi mi aveva scritto all’inizio dell’avventura della newsletter: «Bello, ritrovarla. Mia madre sottolineava le frasi più significative delle sue recensioni. Mai banali. Acquistava il libro, di cui lei parlava. Sottolineava anche quello. E mi obbligava a leggerlo... Sempre grazie».
Sono io che la ringrazio. Come si dice? Sono tutte belle le mamme del mondo, ma della sua mi sono fatto l’idea che era più bella ancora.
Paolo Costa scrive: «Ho trovato bello il suo lucido, intelligente ricordo di Gaber. Ma non concordo sul fatto che l’ultimo Gaber valesse di meno e soprattutto che Alda Merini non sia stata una grande poetessa. Comunque, la sua frase sul fatto che ci sia troppa gente che piace alla gente che piace e che in realtà piace alla gente che non piace, è da applausi a scena aperta. Da sola vale la lettura del suo pezzo. Ecco, caro D’Orrico, io – come diciamo in Piemonte – sono un cane da “trifole” (tartufi). Non credo che esistano scrittori e poeti sovra eminenti, da adorare tout-court. Credo che in molti di loro (non certo in tutti) esistono delle perle. Difficile trovarle. E lei, non sempre, ma molto spesso, ci riesce».
Caro Costa, a lei piace andare con il freno a mano tirato e non lasciarsi andare all’ammirazione. Mi dispiace, gli esercizi di ammirazione sono indice di nobiltà d’animo e di mente. Mi trovo più a mio agio con il signore che segue e che, tra l’altro, è uno dei pochi critici laureati che stimo.
P.S. Un mio vecchio, grande e amato capocronista (quello che mi avviò al giornalismo e che, se scrivevo qualche sciocchezza, mi dava delle metaforiche, ma non per questo meno dolorose, staffilate sulle dita), “trifola” lo usava in tutt’altro senso.
Sergio Pent, il critico laureato di cui dicevo prima, scrive: «Pezzo perfetto quello su Gaber, come sempre. Ed è vero, Simonetta è Milano, la sopravvalutata Merini una passante di successo».
Ci attendono giorni sempre più bui, caro Sergio, la Rai annuncia uno dei suoi micidiali biopic proprio sulla Alda (come avrebbe detto Testori) interpretata da Laura Morante. L’accoppiata potrebbe rivelarsi micidiale.
Silvano Calzini scrive: «Bellissimo il divertimento gaberiano. D’accordo anche sulla pochezza del documentario. Credo anch’io che il miglior Gaber fosse quello intimista e stralunato. Ho ancora una vecchia musicassetta che, oltre a classici come La Balilla, Torpedo blu e Goganga, ha canzoni ormai dimenticate ma formidabili come Zeppelin de Rossi.
Molto piacere, Zeppelin de Rossi (buuuu) Non è possibile avere un nome come un dirigibile
Però mio padre che si chiamava Nobile
Ha avuto un lampo e mi chiamò così…
O la bellissima Ma pensa te.
Volendo potrei anche raccontarvi di una certa figliola
Una che, comunque adesso non ci frequentiamo quasi più
One, two, three, quater
L'ho conosciuta una ragazza regolare
Era una specie di barista in un caffè
Adesso dice che s’è messa a recitare
Oh, oh, ma pensa a te
Andava al mare, se ci andava, a Bordighera
Con le sue amiche in una stanza erano in tre
Adesso dice, “Vado a fare una crociera”
Ma pensa te
Nel pezzo su Gaber hai citato anche Jacopo Fo e mi sono subito ricordato che quando ero all’elementari quasi tutti i giorni mia mamma vedeva una Franca Rame, in versione pre-Sessantotto, biondissima, super impellicciata e ammiratissima dalle altre madri, per non parlare dei padri, sul marciapiede di via Sant’Orsola in attesa dell’uscita del pargolo. Altri tempi.
P.S. E naturalmente viva Umberto Simonetta! Il nostro carissimo piccolo Joyce milanese con il suo Aldino-Antoine Doinel».

Caro Silvano, nelle canzoni di Gaber che citi ho riconosciuto subito lo zampino (lo zampone) del grande Simonetta (da noi adorato checché ne dica Paolo Costa). Tanti anni fa (è proprio tempo per me di Starman) scrissi un pezzo su Simonetta dicendo che, morto Eduardo, era uno dei due drammaturghi italiani veramente vivente (l’altro era Peppino Patroni Griffi). La cosa lo riempì di gioia e si profuse in mille ringraziamenti. Simonetta raccontava le cose della vita (quelle che fanno piangere i poeti). Lo faceva nel suo teatro, nelle sue canzoni, nei suoi romanzi, nei suoi racconti. Ma anche nei suoi articoli: teneva in prima pagina sul Giorno del lunedì una singolare rubrica di calcio commentando le partite domenicali di Milan e Inter, una delle più belle rubriche giornalistiche italiane assieme all’Arcimatto di Brera (e a Joker, crepi l’avarizia). Tra l’altro, Simonetta era parente, lontano cugino se non ricordo male, di Pier Paolo Pasolini (guarderò nell’archivio e la prossima volta sarò più preciso).
Sono più che convinto che Simonetta era più bravo come teatrante di Dario Fo e in questo sono d’accordo in pieno stavolta con Paolo Costa (vedi lettera che segue).
P.S. A proposito dello strano nome di Zeppelin de Rossi, mi ricordo che ai miei primi tempi a Milano avevo conosciuto un sudamericano (forse venezuelano) che si chiamava Jesus Montezuma e che con Giovanni Raboni, affascinati da quella portentosa combinazione anagrafica, meditavamo di scrivere un romanzo d’avventura che lo vedesse protagonista.
Paolo Costa scrive: «A proposito di Dario Fo e del suo incedere fustigando. In Toscana, nel 1983, una sera, al termine di uno spettacolo, Fo incontra Franco Battiato: “I tuoi testi non mi piacciono”, proferisce il futuro Nobel per la letteratura. “Non me ne importa un cazzo” fu la lapidaria espressione di Battiato. Forse mi sbaglio, ma tra cinquant’anni ci si ricorderà ancora di Battiato. Di Dario Fo non ne sarei così certo».
Caro Costa, i testi di Battiato avrebbero meritato un Nobel molto più delle sgangherate (ma senza la leggerezza della sgangheratezza del primo Gaber) farse di Fo.
Dante Matelli ricorda: «Gaber al Pirata di Marina di Massa che cantava Le strade di notte. Gaber a Camaiore (i fichetti e le fichette andavano al Forte). Samuel Pepys che tromba e al piano di sotto hanno la lebbra. Pepys sulla battaglia del Tamigi contro gli olandesi invasori».
Caro Dante, saremo rimasti gli unici al mondo a ricordare Samuel Pepys e i suoi straordinari diari?
A Sanremo la più brava di tutte e con distacchi abissali è stata Angelina Mango.
One, two, three, quater
Il finale di puntata tocca di diritto a Sandro Rezoagli. Ne ha uno bellissimo: «La Cana di Simonetta che si vede nella foto del pezzo su Gaber si chiamava Fata, era meravigliosa».
Caro D'Orrico, lei è gentile come sempre. Grazie per il "critico laureato", mi sento tale honoris causa per le sue parole, poiché nella vita reale mi sono fermato a pochi esami dalla laurea per sposarmi (la prima sbagliatissimo volta) e studiare lavorando. Può immaginare come è andata e il resto degli anni fino ai trenta inoltrati meriterebbero un romanzaccio sui fallimenti e le occasioni mancate ma non solo. In ogni caso si consoli, anch'io ogni tanto mi creo la colonna sonora per la fuga in avanti, e mia Moglie (quella con la maiuscola delle occasioni afferrate sull'orlo del baratro), replica invitandomi a non farla bestemmiare. Non sono ufficialmente laureato, ma forse ho imparato a leggere, chissà. Se lo dice lei, vale davvero molto.
Ma il capocronista era per caso Sergio Saviane?