Josephine Edna O’Brien, Dama Comandante dell’Ordine dell’Impero Britannico per i servizi alla letteratura, è morta a Londra, sabato scorso 27 luglio, a quasi 94 anni. Philip Roth l’aveva definita la scrittrice più grande di tutte. Anche la vita che ha avuto è stata grande. La raccontò lei stessa in Country Girl, la sua autobiografia.
Dame Edna si era solennemente ripromessa di non scrivere mai la storia della sua esistenza. Venne meno al giuramento un giorno del 2008. Aveva allora 78 anni e durante una visita di controllo di routine una dottoressa sgarbata le disse che il suo senso dell’udito era come «un pianoforte rotto».
Dame Edna non se la prese più di tanto. Le era stato detto di peggio nella vita. Poteva vantare una collezione di insulti e di cose poco carine. Un critico (brutta gente) le aveva dato di «Molly Bloom in saldo» scomodando l’eroina di Joyce, l’autore più amato e studiato da Dame Edna (e non soltanto per questioni di compatriottismo irlandese).
Un altro critico aveva scritto di lei che «il talento ce l’aveva nelle mutande», riferendosi al fatto che la liberazione sessuale femminile irlandese (e anche inglese e pure di altre parti del mondo) era stata in gran parte merito di Edna, dei suoi romanzi, del suo comportamento, del suo stile, della sua libertà.
Aveva ricevuto molte offese ma poi, fortunatamente, erano arrivati Roth e l’Ordine dell’Impero Britannico a mettere le cose a posto, a dare a Edna quello che era di Edna.
Tornata a casa dopo la visita medica dalla dottoressa sgarbata, Edna aveva cercato di non pensarci più, di distrarsi. Aveva innaffiato i fiori del suo bel giardino (la parola “fiore” nella sua vita e nella sua arte aveva avuto un’importanza tremenda e alla fine di questa storia capirete perché). La passeggiata in giardino non l’aveva calmata. Allora era andata in cucina e si era messa a fare il pane. Non lo faceva da secoli.
Tutto inutile, il «pianoforte rotto» continuava a suonarle scordatamente in testa.
Alla fine aveva capito che c’era una sola cosa da fare per scacciare i suoni che la tormentavano, la cosa che proprio non voleva fare. Si era seduta alla scrivania e aveva cominciato a scrivere «l’autobiografia che avevo giurato di non scrivere mai». Come per magia il pianoforte rotto si era accordato subito e una musica bellissima e struggente che veniva dal passato si era diffusa nello studio dove Edna stava ricordando che aveva vissuto. E tanto.
Quando era piccola e stava in Irlanda (il posto e la gente raccontati in Ragazze di campagna, il suo folgorante romanzo d’esordio pubblicato nel 1960, titolo originale: The Country Girls) Edna faceva collezione delle figurine delle star hollywoodiane che si trovavano nei pacchetti di sigarette e inventava delle storie di amore e di gelosia tra quei divi e quelle dive irraggiungibili.
La sua coppia preferita era quella composta da Clark Gable e Dorothy Lamour.
Di giorno Edna faceva i suoi sogni in cinemascope, di sera veniva il momento del raccoglimento. Edna e sua madre si facevano il segno della croce e recitavano una preghiera. Sempre la stessa che diceva: «Libera le nostre menti / dalle vane ambizioni e dai fantasmi della notte. / Disperdi i nostri nemici affinché / il nostro corpo non conosca il peccato».
Una volta qualcuno ha detto che la lettura del giornale la mattina è la preghiera del laico. Ma anche di chi non è laico. Edna e sua madre, per esempio, leggevano sempre l’Irish Messenger, periodico cattolico che voleva scongiurare l’influsso delle «peccaminose orchestre da ballo» e contrastare l’avanzata del comunismo che aveva resa schiava la Russia.
Una rubrica sul Messenger piaceva a Edna più di tutte. Si intitolava Rendiamo grazie (sottinteso: al Signore). Era fatta di brevi messaggi inviati dai lettori per sdebitarsi delle grazie ricevute. Riguardavano semplici cose della vita. Eccone un piccolo florilegio: «Grazie perché il naso ha smesso di sanguinare»; «Grazie perché ho superato l’esame di cucito a scuola»; «Grazie perché sono stati eliminati gli alberi pericolosi davanti a casa che temevo prima o poi mi cadessero sulla testa»; «Grazie perché abbiamo vinto alle corse».
Ho sempre ritenuto che la più bella rubrica che ho letto nella vita fosse Una persona che non dimenticherò mai, immancabile appuntamento di quando ero ragazzino sulle pagine della rivista del Reader’s Digest, ma di fronte a Rendiamo grazie dell’Irish Messenger le mie certezze vacillano ed è forte la tentazione di ricredermi.
Un’altra cosa che Edna amava leggere (oltre ai suoi prediletti Tolstoj, Thackeray e Fitzgerald) erano gli annunci affissi sulla vetrina del giornalaio: «Ritrovato gatto nero»; «Cercasi accordatore di pianoforti», «Restauro sedie di vimini».
Le inserzioni sono a volte esempi di microletteratura. La leggenda dice che Ernest Hemingway una volta scrisse in forma di annuncio («In vendita: scarpe bimbo, mai usate») il perfetto romanzo in sei parole. Qualcosa di simile accadde anche a Edna. Nella bacheca del giornalaio una volta lesse un annuncio che diceva: «Vedovo cede abiti della moglie deceduta di recente. Come nuovi. Telefonare all’ora di cena». L’inserzione le ispirò l’idea per una sceneggiatura televisiva. Non ne fece nulla al momento, però mezzo secolo dopo ne trarrà un dramma che andrà in scena a New York.
Gli annunci commerciali sui giornali o altrove, abitudine ormai scomparsa, erano davvero una microletteratura e non a caso Edna ne era così appassionata. In suo onore, dopo aver saputo della sua morte, sono andato a riprendere un vecchio, curioso libro edito da Aliberti: Cerco persona in contatto con extraterrestri di Fermo Croci che ha gestito per una vita la «Piccola pubblicità» del Corriere. Nel libro Croci raccolse i migliori annunci a pagamento apparsi sul giornale. Li ho riletti uno dopo l’altro ed è stata la mia veglia funebre personale per Dame Edna.
«BALIA latte garanzie salute cercasi per Milano». (Apparso sul Corriere in pieno boom economico).
«VIAGGIO Jugoslavia periodo agosto industriale 55enne cerca simpatica graziosa compagna interessata prospettive paese o ritemprante parentesi» (sembra il soggetto di una commedia all’italiana on the road).
«PESCA trota appassionato auto propria conoscerebbe signora signorina pescatrice patente per reciproca compagnia pesca montagna fine settimana». (Una storia d’amore d’impronta pionieristicamente ecologica).
«VENDESI coccodrillo unicamente a persona proprietaria di Rolls-Royce, perché sulle altre auto sta male». (Qui si respira il vero spirito degli anni Sessanta, quello dei Beatles, della swinging London, che è anche lo spirito di Edna, però l’annuncio, data la bizzarria dell’offerta e quella dei requisiti richiesti all’acquirente, ha anche qualcosa della spy story alla Fleming: potrebbe trattarsi di un messaggio in codice di complessa decifrazione).
«PENSIONATO paga per pubblicare poesia» (un’inserzione che è una cinquina secca di disperazione dove riecheggiano i versi di Quasimodo – «Ognuno sta solo sul cuor della terra, trafitto da un raggio di sole: ed è subito sera» –, assieme alla tristezza senza scampo dell’Umberto D. di De Sica).
«GENIERE classe 1918 corrisponderebbe con commilitoni 127° compagnia Ferrovieri già dislocata fronte Greco-Albanese» (nostalgia di guerre lontane in un annuncio pubblicato nel pieno degli Anni di piombo).
«GENTILUOMO ultra 50enne disgustato aridità politica, cerca amici amiche colti per fondare nuova comunità romantico cavalleresca» (qui Dame Edna O’Brien sentirebbe echi delle utopie di Aldous Huxley).
«ATTRAENTE ferrarese contatterebbe amici compagnoni» (cinque parole che sintetizzano un romanzetto erotico di provincia alla Piero Chiara).
«CINQUANTENNE in splendide condizioni fisiche morali e materiali, cerca disperatamente signora/ina max 35enne buona avvenente, non dedita all’uso della depilazione» (ancora un romanzetto alla Chiara).
«PARIGINA diciannovenne contatterebbe distintissimi (zona Sempione)» (l’inizio di un romanzo alla Buzzati, il Buzzati di Un amore e non del Deserto dei Tartari).
«MANNEQUIN classe femminilità, amplierebbe conoscenze amici amiche» (qui si va decisamente e disibitamente sul professionale).
«ANNOIATA? Insoddisfatta? Triste? Chiama Fippi, primo steward d’Italia» (un italian gigolò che sfacciatamente brucia sul tempo – l’inserzione è degli anni Settanta – il Richard Gere di American Gigolò, il film che inaugurò il decennio successivo).
«TERESA mi senti? Non ho parole per esprimere ciò che sento per te. Come sempre le più semplici sono anche le più efficaci. Ti voglio tanto bene» (primo annuncio che costituisce il primo volume di un romanzo d’amore in forma di trilogia).
«TERESA ciao, il mio cuore trabocca di felicità. Sei tu che mi hai ridato la voglia di vivere» (secondo volume della trilogia).
«TERESA ti penso continuamente ma così non è più possibile andare avanti. Ricordati sempre di quello che ti promisi» (fine, non lieto, della trilogia).
«SONO un fotografo faccio calendari casalinghi erotici. Hai mai pensato di regalare a tuo marito un tuo calendario? A prezzi molto bassi farai un regalo originale» (questa è una inserzione uscita negli anni Ottanta e li rispecchia).
«PER vostro conto possiamo spedire alla vostra amata frutto dorato 15 cm. recante frase alla più bella. Telefonare Vera» (era un sex toy alla Tiffany?).
«IMMINENZA mistiche festività natalizie esaltazione giustizia-pace-amore, genitori, preoccupati delusione figlio trentenne desideroso costruirsi famiglia sposa illibata figli sani corpo mente, relazionerebbero analoghi genitori stesso problema: figlia immacolata italiana oppure inglese francese praticante valori morali anteguerra, scopo matrimonio religioso indissolubile ispirato eterna trilogia Dio-Patria-Famiglia, onde uniti opporsi false ideologie demagogiche ateismo prodromo sterminio genere umano attraverso guerra atomica, droga, Aids, inquinamento natura» (una “piccola pubblicità” all’Apocalisse).
«GIORNALISTA inviato Guerra del Golfo e Croazia stanco tristezze 35enne dolce colto sensibile romantico musicista aspetto interessante cerca fidanzata di classe profonda spiritualità intelletto d’amore mannequin nelle forme per costruire coppia prediletta dagli dei» (Guerra e pace alla fine del secolo scorso).
«UOMO quasi sicuro di offrire pari requisiti, cerca donna affascinante, romantica e perversa, disinteressata al bridge, golf ed equitazione, con orizzonti più globali: dalle ostriche al budget costi e ricavi, da Charlie Parker a Francis Bacon, da Salvatores a Camus. Capace di lunghi silenzi come di raccontarsi in un gioco di complicità amorali e raffinate. Escluse mercenarie, anche se di classe» (se avesse scritto annunci sulla Piccola pubblicità, ma aveva ben altro da scrivere, Goffredo Parise ne avrebbe scritto uno molto simile a questo).
«AUTORE cerca editore. Ex rapinatore di banche oggi 50enne convertito all’Evangelo del Signore Gesù Cristo cerca editore per la pubblicazione del proprio libro autobiografico. Trattasi di una narrativa avvincente di un uomo strappato dalle tenebre e portato alla luce dalla potenza di Dio» (questo sarebbe stato bene sull’Irish Messenger ma anche in un film di Quentin Tarantino).
«MATTINA 27 gennaio viaggiava metrò linea Lotto, direzione Loreto, signora/ina, modi raffinati, capelli biondo-scuro rossi, viso intenso, età 35enne circa. La invita a rivelarsi colto, ipersensibile, riservato» (una piccola storia d’innamoramento metropolitano nell’anno di grazia 1976).
«GIANCARLO tua moglie grave (Ortensia Maria)» (quest’ultimo annuncio mi pare il migliore nel rapporto brevità/drammaticità, da fare concorrenza a Hemingway, potrebbe essere il prequel di quello che era piaciuto a Edna così tanto da ispirarle una pièce teatrale: «Vedovo cede abiti della moglie deceduta di recente. Come nuovi. Telefonare all’ora di cena»).
Tra le grazie ricevute pubblicate sull’Irish Messenger che Edna bambina leggeva devotamente assieme alla mamma ce ne fu una che la colpì in maniera particolare (e probabilmente si augurò di poterlo scrivere anche lei un giorno un ringraziamento simile). Era quella che diceva: «Grazie perché papà ha promesso di smettere di bere». L’alcolismo del padre fu il dramma di famiglia. Le sbornie di papà O’Brien erano più che tristi, erano furiose. Arrivò perfino a sparare in casa con la pistola contro la moglie, presente la figlia. Sbagliò la mira, ma quella pallottola metaforicamente rimase per sempre incistata nel cuore di quella ragazza di campagna.
Edna amò disperatamente la madre. Assieme preparavano il budino della Regina (ricetta che purtroppo non ci ha tramandato) e Edna collocò la madre in una dimensione sacrale descritta (parlando in terza persona) in uno dei suoi racconti: «Sua madre era la credenza che conteneva ogni cosa, il tabernacolo che ospita Dio, il lago che racchiude ogni leggenda, il mare con le ostriche e i corpi ormai privi di vita, un regno nel quale desiderava scomparire per sempre».
In una pagina dell’autobiografia Edna racconta del suo arrivo a Dublino («dove fioriva la depravazione», dice in un inciso ironico) dopo aver lasciato il collegio e rimane abbagliata dall’insegna luminosa dell’estratto di carne Bovril (questa è una citazione dal Grande Gatsby di Fitzgerald, ve lo garantisco). A Dublino rimane abbagliata da qualcos’altro. È il libro Introducing James Joyce di Eliot. «Comprai quel volumetto per quattro penny e me lo portai dappertutto, persino alle lezioni di farmacia, per poterlo leggere in qualsiasi momento e ricopiare quelle frasi illuminanti e labirintiche. Fu trascrivendole che iniziai a comprendere quanto fossero belle: frammenti di dialoghi perfetti, descrizioni minuziose di cadaveri e manzi e maiali e vacche, del mare e degli scogli. E poi le impennate straordinarie, in cui mille mondi si dischiudevano l’uno dall’altro».
Nel 1960 con l’anticipo pagatole dall’editore per Ragazze di campagna, una somma favolosa per una che non aveva mai avuto un soldo come lei (rendiamo grazie), Edna si comprò un profumo da milionaria. Svitò il tappo della boccetta, annusò e d’improvviso un profumo che «odorava quasi di santità» la travolse.
Come una brava e affezionata figlia desiderosa di far sapere che si sta facendo strada nella vita, Edna spedì una delle prime copie di Ragazze di campagna alla madre, ma da parte di questa non ci fu nessuna reazione. Qualche tempo dopo Edna chiese alla mamma del suo romanzo. «Quale romanzo?» rispose la donna. «Io non ho ricevuto nessun romanzo». Edna diede la colpa del mancato recapito al disservizio postale. Pensò anche che magari qualcuno aveva rubato il libro, in fin dei conti era una scrittrice di successo, l’autrice di un best seller.
La verità Edna l’avrebbe scoperta molti anni dopo quando sua madre morì e lei fu chiamata a svolgere l’ingrato e straziante compito di sgomberare la casa dove aveva pregato contro le orchestre da ballo peccaminose e, nello stesso tempo, aveva immaginato peccaminosi fidanzamenti (e sfidanzamenti, a causa del carattere farfallone di lui) tra Clark Gable e Dorothy Lamour.
Era rimasto un ultimo baule da svuotare pieno zeppo di cose che una volta erano state importanti e ora apparivano più o meno cianfrusaglie, relitti di una vita, reliquie sconsacrate. Sul fondo del baule Edna trovò un libro. Era Ragazze di campagna, la copia con dedica che Edna aveva spedito alla mamma da Londra. Edna la sfogliò e si accorse che «tutte le parole offensive» erano state cancellate «con l’inchiostro nero» come si faceva in guerra con le lettere censurate dei soldati al fronte.
La madre non fu la sola a trovare scandaloso il romanzo. In Irlanda venne bollato come un libro maledetto. Ad attaccarlo violentemente fu dapprima un arcivescovo. Con altrettanto livore si scagliò poi contro il romanzo (che a leggerlo bene, in realtà, odorava di santità come il profumo da milionaria di Edna) il ministro della giustizia irlandese dell’epoca. Tra le autorità costituite espresse il suo dissenso anche la direttrice dell’ufficio postale di Tuamgraney (il villaggio in cui Edna era nata), la quale consigliò al padre della scrittrice una punizione esemplare per la figlia: prenderla a calci e mandarla in giro nuda per la città. Non si hanno notizie della reazione dell’uomo, ma quella volta se avesse impugnato la pistola e fatto fuoco, forse avrebbe avuto diritto almeno alle attenuanti generiche.
Cosa c’era di tanto scandaloso in Ragazze di campagna? Rileggo la recensione che scrissi anni fa quando la gloriosa editrice Elliot ne pubblicò la traduzione italiana.
Molte cose si possono dire di Edna O’Brien, donna molto bella con qualcosa di imperioso (e di imperiale), irlandese, diplomata in farmacia, profonda (e appassionata) conoscitrice dell’opera e della vita di James Joyce. E si può dire ancora che il suo DNA era simile (il fatto è scientificamente provato) a quello dell’ultima zarina di Russia (ecco da dove vengono i suoi tratti imperiali), a quello di Maria Antonietta e a quello di Susan Sarandon. Ma la cosa più importante che si può dire di lei la disse anni fa Philip Roth: «Edna O’Brien è la più grande scrittrice vivente in lingua inglese». E Philip Roth non sbaglia mai (e adesso qualcuno non se ne venga fuori facendo il nome di Alice Munro o di qualche altra impiegata di concetto della letteratura perché non prendo in considerazione nessun’altra candidatura). Edna esordì con grande scandalo nel 1960 pubblicando un romanzo, Ragazze di campagna, che ebbe anche l’onore di essere sequestrato per i modi troppo espliciti delle descrizioni di carattere sessuale (c’è una scena nell’ultima parte della storia con la protagonista che si spoglia nuda davanti a un uomo e l’uomo che, a sua volta, si spoglia davanti a lei e lei descrive con pochissime parole perfette una parte del corpo maschile).
Ma questo capolavoro non è un romanzo a luci rosse, anche se all’epoca lo scambiarono per una storia porno. La vera natura dello scandalo suscitato dal libro sta nella sensibilità e nella libertà con cui Caithleen, la ragazza di campagna eroina della vicenda, scopre il mondo, l’amore, gli altri e sé stessa. Lo scandalo è costituito dalle verità che Edna racconta. Lo scandalo è che il romanzo di una educazione sentimentale è, in realtà, il romanzo di una diseducazione sentimentale. Perché il colpo di genio, uno dei tanti, della scrittrice è farci capire come, crescendo, diventando adulta, Caithleen in realtà perde i suoi sentimenti a contatto con la vita e deve perderli per non perdersi lei.
La storia comincia con Caithleen quattordicenne che vive nella fattoria in decadenza dei suoi nell’Irlanda più rurale. È molto legata alla madre, una donna provata da un matrimonio infelice con un marito alcolizzato e violento. Caithleen vive nel terrore di quasi tutto: «Avevo sempre paura che mia madre morisse mentre ero a scuola». La sua migliore amica è Baba, una compagna di scuola perfida assai (che ama umiliarla e metterla in difficoltà), figlia di un veterinario (uno dei pochi, se non l’unico, uomini buoni presenti nel cast) e di una donna che sognava da giovane di fare la ballerina (anche lei annega il suo dispiacere nel whisky del quale, localmente, c’è larga disponibilità).
La tragedia che Caithleen ha sempre sentito incombere nella sua esistenza accade e la ragazza, assieme a Baba, va a studiare in un collegio di suore. Le monache sono cattive anche loro e a nulla vale per rabbonirle l’impegno che Caithleen mette negli studi diventando la prima della classe. Complici alcune terroristiche lezioni di sesso impartite in convento da un prete per mettere in guardia le ragazze dai pericoli che le attendono, Caithleen e Baba (sempre più carogna) riescono a farsi espellere dopo aver architettato uno scherzo osceno basato sulle nuove nozioni appena apprese.
Sentendosi ormai donne, le due ragazze di campagna partono alla conquista di Dublino smaniose di tutto, come riassume Baba in un bel monologo: «Ascolta, Caithleen, vuoi piantarla di dire fesserie? Abbiamo diciotto anni e ci annoiamo a morte. Vogliamo vivere, bere gin, andare in giro su belle macchine e scendere negli hotel più grandi ed eleganti».
Caithleen crede di aver trovato l’amore nel ricco, raffinato, annoiato e malmaritato signor Gentleman (un soprannome dovuto ai suoi modi formalmente impeccabili), dalle «labbra fredde, deliziosamente fredde, come il ghiaccio dentro un cocktail», che le ha messo gli occhi addosso (e qualche volta anche le mani) sin da quando era ragazzina e che le promette un weekend da favola a Vienna...
Philip Roth aveva ragione su Edna O’Brien e Ragazze di campagna è un libro bellissimo, bellissimo, bellissimo.
Torniamo a Edna che dopo che le hanno diagnosticato che il suo udito è come un pianoforte rotto si è messa a scrivere la sua autobiografia (la intitolerà con quello che ormai è il suo titolo nobiliare: Country Girl). Le pagine più amare delle sue memorie sono quelle relative al suo matrimonio con uno scrittore (che non avrà mai il successo di lei). Marito e moglie litigano, lui vuole sottrarle i figli. Una sera, lui le chiude la porta di casa in faccia accusandola di avere abbandonato i bambini. «Da allora ho sempre associato quella porta che si chiudeva al coperchio della bara».
La causa di divorzio si trascina tra rancori e meschinità assortite. Nel periodo di separazione, quando i bambini vanno a casa della madre il padre li munisce di biglietti da consegnare a Edna. In uno di questi, l’uomo proibisce ai bambini l’accesso alla stanza in cui Edna scrive: «perché le sue opere emanano fetore di perversione e di pazzia, come evidenziato da Krafft-Ebing», il grande studioso della psicopatia sessuale.
Tutte le sue traversie confermano un sospetto che Edna ha avuto sin dall’inizio della sua carriera letteraria: il mistero della scrittura «nasce dal dolore quando il cuore è tagliato a metà». Ma attenti a non commettere l’errore di considerare Edna un’autrice di quella letteratura doloristica che ormai, poveri noi, annovera sempre più adepti e cultori. Edna è la più grande scrittrice di lingua inglese anche perché sa raccontare momenti più lievi, conosce e pratica la gioia di vivere. Guardate come narra l’apparizione a una festa londinese di «Robert Mitchum, in persona», l’attore con il quale avrà una breve e intensa storia d’amore: «Portava un cappello marrone calcato all'indietro quasi sulla nuca - la maschera del gangster - e mi sembrò ancora più affascinante di come lo avevo visto nei film».
Un altro incontro indimenticabile con un divo del cinema (incontri che la fanno tornare bambina, quando adorava Clark Gable e ne collezionava le figurine) è quello con Marlon Brando. Un incontro del tutto casto questa volta. Con l’intuito di uno che è stato il primo della classe all’Actors Studio, Marlon le chiede di punto in bianco: «Sei una grande scrittrice?». Lei risponde: «Lo voglio diventare». Allora lui la fa salire su un'altalena che è nei pressi e le dà una spinta «quasi vertiginosa». Era un modo per augurarle la miglior fortuna in puro stile Actors Studio
Di personaggi celebri, anzi più che celebri, mitici è affollatissima la vita di Edna. C’è Samuel Beckett, per esempio. Edna (tramortita dall’lsd) gli chiede a che cosa sta lavorando. Lui risponde: «A niente di che e poi a che serve lavorare?». Ci sono lo 007 Sean Connery e l’antipsichiatra Ronald Laing, Marilyn Monroe e Jackie Kennedy-Onassis. Marilyn, scrive Edna, era «una donna senza armature e la ragazzina dentro di lei venne fatta a pezzi. Jackie era il contrario: viveva la vita protetta da un velo e quando se ne andò la sua polvere di stelle era ancora intatta».
Molto belle sono le pagine che Edna scrive su New York, città da lei amata. «Ho sempre pensato che le strade di New York possedessero una vitalità e un’immediatezza di gran lunga superiore a quelle degli enormi caseggiati senz’anima che si affacciavano su di esse, coi corridoi lunghi e solitari, i tappeti marrone scuro, i quotidiani vecchi di giorni davanti agli usci e all’interno un silenzio funereo, carico di attese, come nei grandi romanzi di Georges Simenon».
E una sera proprio a New York ecco un’altra apparizione (del tipo Mitchum e Brando): «Philip Roth era già arrivato. Noto per essere un eremita, Philip esce talvolta dalla sua tana e diventa invariabilmente il polo di attrazione di qualsiasi evento. Scrupoloso, inflessibile circa la parola scritta e dotato di un acume tagliente, Philip è anche la persona più spiritosa della Terra, se dell’umore giusto. L’ho visto imbastire un racconto su due piedi e portarlo ad altezze vertiginose, ed era come assistere al lavorio di un’intelligenza debordante, capace di superare sé stessa».
Due ultime cose. Una è la frase di Nietzsche sulla quale Edna meditò a lungo in un momento buio, durante una crisi da pagina bianca: «Possediamo l’arte per non morire di verità». Lei riuscì poi a rovesciare la sentenza di Nietzsche: grazie alla sua arte riuscì a vivere di verità.
L’ultima cosa è la canzone che Paul McCartney una sera inventò su due piedi a una cena in casa della scrittrice. Faceva così: «Oh, Edna O’Brien, / lei non mente, / devi ascoltare / quel che ha da dire, / perché Edna O’Brien/ ti farà sospirare, / lei ti farà piangere. / Ehi, / ti farà perdere la testa». Una canzone che non ho mai sentito (se un giorno incontrassi l’ex Beatle so già quale sarebbe la prima cosa che gli chiederei), ma che sono assolutamente sicuro sia bella almeno quanto Eleanor Rigby e Yesterday.
Rendiamo grazie al Signore per averci donato nella sua infinita misericordia Dame Josephine Edna O’Brien.
P.S. Ecco la pagella che scrissi per Ragazze di campagna.
Ci sono libri fatali (in tutti i sensi della parola). Uno è Altre voci, altre stanze di Capote. Un altro è Il giovane Holden di Salinger. Un altro ancora è Lamento di Portnoy di Roth. E poi: Il mondo secondo Garp di Irving, Il Maestro e Margherita di Bulgakov, La zia Julia e lo scribacchino di Vargas Llosa. Il più fatale di tutti penso che sia Il buio oltre la siepe di Harper Lee. Che cos’è un romanzo fatale? È tutto quello che la parola «fatale» significa (nel senso, anche, di quando si dice: «una donna fatale»).
Ragazze di campagna di Edna O’Brien è un romanzo fatale. Ha qualcosa di necessario, di predestinato. Quando uscì nel 1960 suscitò scandalo per motivi sessuali (in realtà, se ci pensate bene, non c’è altra tipologia di scandalo in letteratura). Parlava in modo troppo esplicito di sesso (e, aggravante decisiva, da parte di ragazze molto giovani). C’era, addirittura, una scena di nudo, con la giovane ragazza giovane che descrive l’anatomia del partner (più vecchio di lei e sposato) con parole forse insuperabili.
Da allora è passato più di mezzo secolo ma l’avventura di Caithleen (la protagonista) è ancora fresca, nervosa, palpitante: i drammi e le tragedie della sua adolescenza rurale (il padre, violento e alcolizzato, la madre, vittima sacrificale), la piccola epopea della sua carriera studentesca (in un collegio di suore) e, infine, lo sbarco (come un personaggio di Balzac) a Dublino, la capitale da conquistare, la Babilonia da visitare. L’inchiostro con cui è stata scritta questa storia non si è coagulato, è sempre liquido, mutevole e sensibile come il mercurio del termometro.
Una caratteristica dei romanzi fatali è che si somigliano tutti per qualche aspetto, c’è tra di loro un’aria di famiglia. Però ogni romanzo fatale è fatale a modo suo. Unico come è unica, originale e irripetibile ogni esistenza.
VOTO: 110 e lode e bacio accademico (e anche non accademico)
P.P.S. La scena di nudo di Ragazze di campagna che quasi costò il rogo a Edna è quella in cui la giovane protagonista descrive l’anatomia del partner (più vecchio di lei e sposato) e lo fa con parole forse insuperabili. I due personaggi si fronteggiano nudi e si guardano. Lui le ha regalato una spilla in forma di fiore e lei ora lo accarezza quel fiore: «non il mio. Il suo fiore». Una frase che è la continuazione del monologo di Molly del suo prediletto Joyce: ««Dio mio dopo quel bacio così lungo non avevo più fiato sì ero un fiore di montagna ha detto sì e infatti siamo tutte fiori noi corpi di donna». E, sembra aggiungere Edna, anche i corpi degli uomini sono fiori.
Questo è forse il joker più bello della storia.
Magistrale quell'elenco di libri fatali.
VOTO: 110 e lode e bacio accademico
Ricevere Joker il venerdì mattina compensa del lutto di non trovarlo piu’ su Sette 🙏