SUPER JOKER A LUCI ROSSE SHOCKING PARTE 3/3
RACCONTO A METÀ STRADA TRA UN POEMA WESTERN EPICO DAL TITOLO «LARRYEIDE” E UN SAGGIO ACCADEMICO INEDITO DAL TITOLO “SCRITTORI & PUTTANE”
Riprendendo il saggio in fieri Scrittori & puttane e senza nulla voler togliere ai valorosi autori citati (Vittorini, Camilleri, García Márquez, Simenon e Giuseppe Verdi), va detto le puttane di McMurtry sono un’altra cosa, appartengono al mondo classico, provengono direttamente dalla tragedia greca, rivestono le funzioni del coro nei suoi fantastici e fatali western (come accade nelle Strade di Laredo). E sono anche le prefiche alle quali tocca il compito di piangere i morti e piangono spesso perché nel West si moriva spesso. Chiagneno e fottono le puttane di Larry, ma alla fine sembrano più dedite alle lacrime che alle scopate. E si (e ci) commuovono sul serio.
Matilda Jane Roberts in tutta la sua «formosa nudità» è l’unica donna nel gruppo di Texas Ranger (come Tex Willer e Kit Carson penseranno i cultori dei fumetti western autarchici Made in Bonelli) e altri avventurieri impegnati nella missione (impossibile?) raccontata in Il cammino del morto. Come le sorelle di Čechov gridano il tormentone «A Mosca! A Mosca!» sognando un’altra vita, la grande Matilda grida «In California, in California», all’epoca ancora pre-hollywoodiana ma già miraggio esistenziale.
Gli avventurieri ai quali si accompagna Matilda sono in marcia per uno scopo dichiarato (mettere le mani su quanto più oro possibile). In verità lo scopo reale (e inconscio) della pericolosa traversata è un altro: mettere in gioco la propria vita, sfidare il destino, la morte, i fiumi impetuosi, i terribili indiani Comanche e Apache, la fame, la sete, i serpenti a sonagli, i bisonti infuriati, gli spettri del deserto e tutti i cavalieri dell’apocalisse possibili e immaginabili.
Se in L’ultimo spettacolo Larry aveva raccontato la fine dell’America, qui ne racconta la nascita ed è il più travagliato dei parti.
Come le sue colleghe negli altri romanzi di McMurtry, anche a Matilda, durante il lungo viaggio al termine del West e del western, succederà di dover spesso intonare la canzone d’addio, il requiem per voce sola (la sua bella voce che commuove fino alle lacrime i suoi compagni di ventura, anche i più duri di cuore) a conforto dei morti che si susseguiranno nel corso della spedizione e saranno seppelliti con il minimo dei rituali funebri nei deserti e nelle praterie (questo al principio della catabasi, poi non ci sarà più né tempo né forza né lacrime per dare un degno ultimo giaciglio ai caduti).
La prima spedizione di ranger e affini raccontata in Il cammino del morto è una specie di prequel di Ombre Rosse, il capolavoro di John Ford (c’è qualcuno ancora vivo che sa che il maestro si era ispirato a un racconto di Maupassant?). È una missione tecnica e consiste nella ricerca di una pista praticabile per organizzare un servizio di diligenze. La seconda missione è ben più ambiziosa ed è di carattere militare. Un colonnello, che in passato ha fatto anche il pirata nelle acque del Golfo del Messico, allestisce un esercito per muovere alla volta di El Paso e depredare i messicani dell’oro e dell’argento di cui, si vocifera, custodiscano ingenti quantitativi. Alcuni personaggi si ritrovano sia nella prima che nella seconda spedizione e sono gli eroi principali del romanzo: la già citata Matilda, i due giovani, avventurosi, a volte avventati, amici Gus (un puttaniere, è proprio il caso di dirlo, restio a impegnarsi in un lavoro normale) e Call (un tipo complicato ma anche notevolmente complesso, un personaggio che non avrebbe sfigurato nei primi romanzi di Saul Bellow, del Bellow esistenzialista specializzato in eroi in bilico).
Ed eccoci arrivati puntuali all’appuntamento: Call, il giovanotto in bilico, pieno di smania e di furore, di Il Cammino del morto non è altri che il vecchio capitano Woodrow Call incaricato di prendere vivo, o preferibilmente morto, Joey Garza, il nuovo Billy The Kid, in Le strade di Laredo. E, sempre a fianco del suo amico Gus McCrae (il puttaniere), Call ricompare in Lonesome Dove, il più bello dei romanzi della trilogia-quadrilogia. A somiglianza dei romanzi che compongono La commedia umana di Balzac i personaggi di McMurtry a volte tornano (come gli zombie), anzi più volte.
Gus e Call si sono arruolati nei Texas Ranger per vivere una vita spericolata e piena di guai: «Call non era mai stato così felice in vita sua: da un giorno all’altro era diventato un Texas Ranger, la cosa più strepitosa che ci potesse essere». Le loro aspettative saranno pienamente soddisfatte, ma come avvertiva quel saggio sregolatissimo, quel geniale piccolo Buddha di Truman Capote, fingendo che a parlare fosse Santa Teresa d’Avila: «Si versano più lacrime per le preghiere esaudite che per quelle non accolte». L’avventura di Gus e Call e dei loro pard (in tutto la comitiva alla partenza da Austin assomma a duecento persone tra provetti scout, esperti esploratori, astuti trapper, infallibili tiratori e perdigiorno assortiti) si trasformerà in una via crucis, in un percorso penitenziale, in un incubo.
Non vi sto a dettagliare questo prodigioso romanzo. Mi limito a un indice di cose e di nomi: il ragazzino con la lingua tagliata; l’indimenticabile personaggio dello scout Bigfoot (conosciuto perfino a Navasota, nel lontano Est); la battuta di Gus: «No, ma pensa a quante puttane mi potrei permettere se avessi una miniera d’oro»; la morte di un generale alcolizzato: «Si era appena voltato quando sentì uno sparo: il generale Phil Lloyd aveva tirato fuori la pistola e si era sparato alla testa. Penzolava dal cavallo, con un piede impigliato nella staffa»; l’ufficiale messicano che sa che nessuno riconoscerà il suo valore e la sua dedizione e sarà disonorato; lo svenevole ufficiale francese in forza ai messicani; il pianto di Matilda quando uccidono l’uomo che ama: «Nel vuoto delle praterie le sue urla sembravano aleggiare nell’aria. Mettevano gli uomini a disagio: era come se a urlare fosse una grossa lupa, solo che la lupa era in mezzo a loro… L’amore, con tutto il suo mistero, era arrivato in mezzo a loro e non lo gradivano. Una puttana si era innamorata di un vecchio pioniere. Non sarebbe dovuto succedere, ma era successo»; il dilemma proposto, quando va bene, dal menù del giorno nella prateria: moffette (l’animale noto «per l’odore fetido del secreto rettale», Treccani) o fegato di puma?; tutte le volte (e sono tante) che i Comanche o gli Apache scotennano, massacrano, seviziano e danno ampia dimostrazione del burlesque della morte di cui si è parlato a proposito di Joey Garza, il quale proprio da loro lo aveva imparato…
E poi il canto funebre di Lady Carey, aristocratica scozzese prigioniera dei messicani, il suo corpo è putrefatto dalla lebbra ma lei resta ancora bella e con la voce angelica: «Mentre cantava, la signora in nero stringeva la ringhiera del ballatoio. Verso la fine, le note si abbassarono: esprimevano una tristezza che andava oltre la tristezza per la morte degli uomini; era piuttosto una tristezza per la vita degli uomini, e delle donne. Ricordavano a chi ascoltava salire e scendere quella melodia barlumi di speranza che erano nati, ma poi anche morti; le promesse, e il fallimento delle promesse. Gus scoppiò a piangere; non sapeva perché, ma non riusciva a smettere, non con quel canto di sottofondo.»
Infine, l’ultimo canto, ancora di Lady Carey, che intona il Nabucco del «signor Verdi», nuda a cavallo come Lady Godiva, per affrontare (come fece papa Leone Magno con Attila) Buffalo Hump, l’indemoniato e crudele capo dei Comanche. Una scena degna di Luchino Visconti.
La Larryeide non può terminare senza un’antologia dei pareri espressi negli anni dai lettori di Joker sulla grandezza del più famoso figlio di Archer City, Pop. 1183, Texas.
Natale Scapin: «Prezioso il suo consiglio di leggere Lonesome Dove di McMurtry, grande epica western, indimenticabili protagonisti, respiro da classico della letteratura. Aggiungerei anche il seguito, Le strade di Laredo. McMurtry mi pare sottovalutato, poco citato, mi sbaglio?».
Ezio Faccioli: «Ah ecco! Ritrovo con gioia nell’ultimo Joker McMurtry, che lei definì “grande” in un accenno di vari mesi fa. Quell’aggettivo mi spinse a leggere non solo Comanche Moon e Streets of Laredo, ultime tessere della mcmurtriana epopea del vecchio West in via di sparizione, di cui Lonesome Dove è il caposaldo. Non scordiamo Terms of Endearment (“Voglia di tenerezza” da cui il film premio Oscar), opera forse minore ma con ambientazione houstoniana e dialoghi formidabili. Non crede che McMurtry, morto solo due anni fa, sia stato il più grande scrittore americano recente? Capace non solo di creare un’epopea e fartela vivere, alla stregua di un Dumas padre, ma anche di instillarti curiosità per la storia e la cultura delle nazioni autoctone (Comanche, Kickapoo, Navajo...) che vivevano negli sterminati territori a nord del Messico, poi rinchiuse e dimenticate nelle riserve?».
Enzo Armando: «In Italia è passata sotto silenzio la scomparsa di uno dei più grandi scrittori americani, Larry McMurtry (25 marzo). Ricordo quanto le fosse piaciuto Lonesome Dove, a parer mio il più bel romanzo western di sempre. Può fare un appello all’Einaudi affinché pubblichi Luna Comanche e completare la trilogia dei Texas Rangers? Saluti da un tifosissimo dell’Inter e concittadino di Paolo Conte».
P.S. Einaudi ha da poco annunciato la prossima uscita di Luna Comanche. Evviva.
P.P.S. Prima di chiudere la Larryeide un pensiero grato a James Fenimore Cooper e al suo romanzo L’ultimo dei Mohicani, incunabolo della quadrilogia western di Larry.
P.P.P.S. Penso che la Matilda Jane Roberts così felliniana nelle forme possa essere considerata La Gradisca di McMurtry.
P.P.P.P.S. Larry ha scritto migliaia di pagine eppure dà sempre la sensazione di essere parco di parole. Credo che questa sia la prerogativa dei grandi scrittori.
P.P.P.P.P.S. Perdonatemi se contro ogni mio costume mi sono preso di chiamare spesso confidenzialmente per nome Mcmurtry. Non è che volessi allargarmi, è semplicemente per farvi capire quanto bene gli voglio.
L’ultimo dei Mohicani è stato al centro della diatriba tra James Fenimore Cooper e Giacomo Costantino Beltrami, protagonista di una bella mostra al Museo di Scienze Naturali di Bergamo. Di Beltrami si ricordano soprattutto le esplorazioni in territorio americano e i contatti con i nativi. Beltrami, uno dei grandi bergamaschi meno conosciuti dai suoi conterranei, anche perché morto altrove, accusò Fenimore Cooper di plagio che non riconobbe mai di dovergli qualcosa, diversamente da Chateaubriand che nel suo Voyage en Amérique riportava pagine e pagine di Beltrami in omaggio all’amico ed esploratore.
Amareggiato dal mancato riconoscimento, Beltrami tornò in Italia e si ritirò a Filottrano dove assunse il nome di Fra’ Giacomo.
Puro piacere