Primissima puntata del nuovo Joker. Una puntatona inaugurata da Italo Beccaria
che, all’inizio di questo ultimo tempestoso periodo, mi aveva scritto: «A 70 anni
(sono del ’53) la vita si restringe ma dover fare a meno di 15 minuti settimanali (Joker+Pagella) di pura felicità è una rinuncia di cui avrei fatto volentieri a meno. Intanto grazie per avermi pubblicato oltre che per i preziosi suggerimenti, il mirabile cazzeggio, la scorrettezza mai maleducata, il sorriso e la stretta di mano nei corridoi della Scala. Lei è il Renzo Arbore della cultura (questo è un complimentone…)».
Caro Italo, allestitore dei casting più belli nella storia del Joker, non sa quanto il suo complimentone mi faccia piacere (Arbore è un fuoriclasse, una fuoriserie).
Una volta Alberto Ongaro, il maestro di La taverna del doge Loredan e La partita,
al quale non hanno mai dedicato un Meridiano Mondadori (così come non hanno
mai dato il Nobel a Philip Roth), mi disse che lui, uomo avventuroso e tormentato, adorava Arbore e il suo touch fatto di allegria, serenità e leggerezza. Arbore appartiene alla famiglia dei Lubitsch, dei Billy Wilder, dei Mozart, dei Vargas Llosa.
Una volta ho riferito le parole di Ongaro ad Arbore e lui mi ha detto...
(continua in un prossimo Joker)
Posso ricambiare il complimentone? L’altra sera ero al Torino Film Festival a vedere la prima del documentario sul concerto di Paolo Conte alla Scala. A un certo punto sono saltato sulla poltrona. In primissimo piano nel bel mezzo di una carrellata
nel foyer mi è apparso proprio lei, Italo, immortalato mentre campeggiava a tutto schermo. Era bellissimo.
Che romanzo leggere questa settimana? Io sto provando con Nascita di un capolavoro del cinema di Tom Hanks, ma vado a rilento perché mi ha infastidito un’affermazione perentoria in apertura di storia: uscire dalla sala quando un film non piace
è un peccato mortale. Io ogni tanto lo faccio così come (più di frequente) mollo
un libro che non mi soddisfa. È un diritto inalienabile dei lettori come sostiene Daniel Pennac. (Sono così d’accordo che leggendo i libri di Pennac ho seguito certe volte
il suo consiglio).
Con il romanzo di Hanks proverò a insistere, gli darò un’altra chance (ma sospetto
che come romanziere gumpeggi un po’, nel senso di Forrest Gump). Hanks è un grande attore (anche se al gioco della torre tra lui e Leo Di Caprio butto giù lui), però ha qualcosa di stucchevole. Mi ricordo che Oreste Del Buono diceva che il leggendario Jimmy Stewart, già da solo una storia del cinema, aveva la faccia da culo.
Però come la faceva recitare...
Non è un romanzo ma è molto piacevole da leggere Dimmi come fa di Marina Toffetti (Carocci editore), un manuale di «Grammatica e sintassi della melodia» dal canto gregoriano a Tintarella di luna. All’inizio si cita una bellissima frase di Roberto Benigni: «Nell’amor le parole non contano, conta la musica».
Mi ricordo che una mattina di tanti anni fa mi trovavo nella chiesa sconsacrata (Santa Maria Sopr’Arno?) diventata sede della Bottega Teatrale di Firenze, la scuola diretta da Vittorio Gassman. Ero lì per “coprire”, come si diceva nel gergo redazionale,
una conferenza stampa ma ero arrivato in forte anticipo. Sembrava che non ci fosse nessuno. Mi sbagliavo. Da qualche parte qualcuno stava cantando.
Mi inoltrai in una specie di labirinto. Sbucai in una sala dal soffitto molto basso ingombra di mobili accatastati. In fondo c’era un finestrone che dava su un cortile (forse il chiostro della chiesa). C’era un uomo che guardava fuori e mi dava le spalle. Era lui il cantante, faceva dei gorgheggi, dei vocalizzi, a volte un po’ lugubri.
Era Gassman e stava cantando, una mano appoggiata ai vetri e l’altra ficcata
nella tasca della giacca dove doveva esserci un mazzo di chiavi che faceva tintinnare per tenere il tempo. La canzone era Tintarella di luna. Già all’epoca era nota
la depressione di cui soffriva l’attore. Le cure con il litio, la clinica di Pisa divenuta famosa per la sua clientela vip: il giornalista Indro Montanelli, lo scrittore Ottiero Ottieri, che su quell’esperienza scrisse il lancinante romanzo L’infermiera di Pisa (Ottieri, uno dei campioni della letteratura industriale, aveva avuto il suo primo quarto d’ora di celebrità con Donnarumma all’assalto, che oggi potrebbe sembrare
la storia dell’ex portiere del Milan e tuttora della Nazionale, ma che invece ripercorreva la vicenda pionieristica e generosa della fabbrica Olivetti al Sud).
Forse influenzato dalla sua leggendaria depressione, mi parve quella mattina
nella chiesa sconsacrata che Gassman stesse interpretando Tintarella di luna
non nella maniera sbarazzina, ancheggiante e twisteggiante di colei che l’aveva portata al successo (Mina!), ma in una maniera drammatica come se fosse il canto
di una creatura notturna, un pallido reietto delle tenebre: un licantropo, un vampiro.
Lo so che questa storia di Gassman l’ho già raccontata altre volte, è un mio cavallo
di battaglia, però non mi è venuta mai così bene come questa volta. E poi su Gassman ho un’altra cosa da raccontare che ha per protagonisti lui e Alberto Ongaro (ancora lui) e si svolge a Venezia... Abbiate ancora un po’ di pazienza e prossimamente
la racconterò.
Comunque il romanzo della settimana è un noir (sarcastico). Questo: «Perronet,
di Nancy, l’ha scampata bella. Mentre rientrava a casa suo padre Arsène saltando
dalla finestra, si è sfracellato a un passo da lui» (Felix Fénéon, Romanzi in tre righe, Adelphi).
Inauguro qui una sotto-rubrica, Joker Vintage, in cui recupero mail di lettori rimaste inedite o parzialmente pubblicate. Come quella che segue. Era fine agosto 2020 e,
in occasione di una mia intervista (coverstory) a Paolo Conte, Giuliano Bozzoli
mi scrisse: «Le voglio far conoscere una mia vecchia corrispondenza avuta con l’Avvocato, nella quale è presente tutta la sua ironica genialità».
Ecco il carteggio intercorso tra Bozzoli e il Maestro.
Bentornato. E grazie per questa magnifica sorpresa .Pio
Grazie per aver ridato a me, come ad altri orfani della sua rubrica e della sua pagella, una nuova possibilità di leggerla. Bentornato